26 gennaio 2010

Display

Tumulti, niente di personale, telefonate intrecciano, chilometri azzerati, propositi e ricorrenze, si farà, ci sarò? Sempre in attesa, in ansia, i giorni si ripetono, le squame inaspettate, tutto al cesso.
Cazzo di tempo, quindici gradi e di colpo zero, la gola in fiamme, la tosse, il cortisone scivola, per fortuna possiede un tutore... cinquecentosettantaeuri per continuare a credere di avere vent'anni... con meno di settanta ho riprovato il brivido del campo, puo' bastare, almeno per adesso... immagino voli, non pindarici, neve, gelo, la foto sul display si aggiorna, mostra il mio paesaggio in bianco... cosa avrà da dire quella signora? Di certo non otterrà risposte, ma lo vedremo... per una volta la notizia è alla rovescia, bancomat assalta persona che tenta di prelevare da un conto ampiamente in rosso... già... tende, da tensione o da schermare? stropicciano come occhi al mattino dopo notte insonne, c'è bisogno della terza, quando ancora la seconda è in atto... qualcuno grida, geme, si agita, non sopporta il mio immobilismo e lo manifesta incessantemente, che palle, guardare l'orto del vicino è sempre controproducente, induce a manifestazioni sgradevoli, tira fuori il peggio di noi... fatti i cazzi tuoi, verrebbe da dire, ma la gerarchia regna sovrana, ancora...
Desideri, sempre quelli, il ghiaccio si scioglie, l'acqua evapora, essenze spariscono come esistenze, come pulizie straordinarie, come il vecchio che getta via l'anima e i ricordi conservati per decenni, niente è più lo stesso, niente lo sarà, non una parola che non vale la pena, cambierò con un miscelatore, anch'io, sì.

12 gennaio 2010

Scommetto

Ci scommetto che è lui, è lo scommettitore, tutti avrebbero scommesso, sconnesso, sommesso, come il rumore che rompe il silenzio, come il silenzio che cala sul mio sguardo riflesso negli occhi azzurri e tristi, come il tempo che si restringe e ti fa sentire piccolo, tanto piccolo e inerme. Come un urlo ricacciato dentro, le mani che si agitano, una vita che lotta, come tempeste annunciate, come mani ferme al timone e vento e acqua e pianto. Di arcobaleni romani, come di nebbie o cascate, di sorrisi dimenticati, di tolleranza, comprensione, il desiderio di cose semplici, facili, di un tasto solo.
Che mi guardo intorno e non vedo nessuno, nessun viso conosciuto, e nessuno mi rivolge la parola, solo in lontananza qualcuno punta un dito, e secoli di infamie si rivoltano su di me, e poi la sveglia implacabile e il cielo scuro di pioggia bagnati i vetri al mio forte caffè nero.
Ancora chilometri, vetri appannati, freddo, forse neve, le mie mani ai guanti e un cappellino calato sui pochi capelli, cosa dirò alla signora e come mi giustificherò della mia maleducazione, delle mie dimenticanze, della maglia lasciata sotto al cuscino e dell'offerta mancata e di una partenza improvvisa e inattesa, che non ho mai sopportato il clero e i derivati...
E gli altri intorno di un destino comune, e imparo, anch'io come loro mostro unghie e denti affilati, stringo le mani alle sue e lascio che ripeta con me atavici riti di guerra, che è una guerra e si avanza carponi e intorno i lampi e i fragori, che è una guerra baionetta e coltello tra i denti, mimetica e elmetto, la sigaretta fumata al contrario, o al gelo fuori che dentro è vietato, cosa darei, cosa potrei, Carlo che non vedrò mai più e altri mi aspettano, conoscerò i loro nomi e le storie con le loro vite che non rivedrò mai più. Distesi o in corsa, sole, erba e fiori, canti e grida, due bambini ignari che a tratti litigano o si rincorrono, e poi la vita che si agita, muta, e prende tutta un'altra piega.