12 settembre 2012

Pelle e ossa

Pelle e ossa, trovare un punto dove affondare l'ago diventa ogni giorno più difficile, però mi sembra che dopo otto giorni sia più sensibile, sente il farmaco, ha moti di reazione che sembravano sopiti, lo sguardo stanco di chi è davvero stufo, lei si ostina e tiene duro, gli parla, lo incita e tenta come può di fargli ingurgitare medicine e cibi liquidi, sono nati lo stesso giorno esattamente a distanza di trent'anni, hanno un legame speciale, diverso, è stata la prima, e sarà l'ultima a mollare, pensavo non avrebbe superato la settimana, lo dico colpevolmente, l'acqua minerale che gorgoglia nell'umidificatore della bombola d'ossigeno scandisce il tempo, ogni tanto si tira via il sondino, mi tiene le mani mentre gli appongo la mascherina dell'aerosol e vorrebbe che finisse la tortura, lo so, ma gli dico dolcemente che è necessario, come se mi capisse, mi sentisse ancora, osservo le mani, quelle stesse mani che un giorno mentre guidava mi disse assomigliavano sempre più a quelle di mio nonno, ho aspettato tutti questi anni per vedere se anche a me le mie facessero lo stesso effetto... adesso pelle e ossa e silenzio, le piaghe si sono rimarginate ai piedi e al fianco, al fondo schiena è più difficile, forse non faremo in tempo, adesso ancora flebo e ferro e l'acido folico che è rimasto nel cappuccio... il cortisone, il fluidificante... l'integratore ultima speranza, il pensiero corre al suo caffè bollente, la tazzina alle labbra e il compiacimento... ricordi, soltanto ricordi, che non resterà altro, e avremmo potuto, avremmo dovuto... "mia madre è sempre lì che si nasconde dietro ai muri e non si trova mai, e i fiori nella vasca sono tutto quel che resta e quel che manca, tutto quel che hai".

7 settembre 2012

Quel giorno che il Ricceri si incazzò di brutto

Via Maggio, Firenze, a due passi dal ponte vecchio le grandi sale ricolme di mobili, oggetti, quadri, generalmente l'esposizione durava una quindicina di giorni, questo voleva dire sistemare, ordinare, pulire ogni singolo oggetto, appendere i quadri, sistemare le luci... il succhiello nelle mani del Ricceri volteggiava e sondava come un carotatore... l'omaccione dondolava pericolosamente sulla grande scala e poi una volta appeso il quadro ti chiedeva se era dritto... biascicava le parole nel suo dialetto rignanese, imprecando e borbottando in continuazione, burbero, austero e schivo, anni e anni a mandar fuori i mobili, i vasi, le sculture, i quadri... meticoloso, ignorante e presuntuoso, ma efficace e veloce... il lavoro in se non era poi tanto faticoso, a meno che non si dovessero salire grandi cassettoni o sculture pesanti per le scale, il momento decisivo era il giorno dell'asta, quando gli oggetti venivano ammassati, catalogati, preparati in ordine di uscita per il successivo passo, la messa all'incanto, allora si cominciava a sudare, i pezzi "pesi" andavano sollevati anche in quattro e bisognava far presto, essere precisi e non provocare danni, via via i pezzi venivano annunciati dal battitore d'asta, issati sul palco della grande sala che pareva un teatro, e lì si restava in attesa dell'aggiudicazione per poi velocemente avvicendarsi con gli altri... a tratti si "durava fatica", qualcuno spesso smoccolava... e il Ricceri urlava, imprecava, impartiva le direttive e ti dava dell'ignorante... era insopportabile, al limite dell'odio ma sapeva fare il suo lavoro e poi venne quel giorno che di colpo lo ammirai e mi fece quasi scendere le lacrime... eravamo usciti in quattro sul palco portando a braccia un pesantissimo cassettone in legno massiccio, il sudore ci colava dalle fronti e lo sforzo era massimo, il ragazzo accanto a me d'un tratto scivolo forse nel suo stesso sudore trascinandomi nella successiva caduta che inevitabilmente coinvolse anche chi stava davanti... il nostro pensiero era tutto rivolto all'oggetto prezioso, rovinammo tutti per terra ma cercando di salvaguardare il mobile... si alzarono dalle prime file fragorose risate che ci umiliarono, fu un lampo il Ricceri che nella sala attigua scrutava attraverso gli occhiali il grande catalogo e il prossimo oggetto da mandare in asta, si catapultò sul palco e cominciò ad urlare ed inveire contro le persone che avevano riso, gliene disse di tutti i colori, li apostrofò brutalmente, diede loro dei signorini insulsi e buoni a nulla quando noi si durava fatica e si sgobbava per un misero pezzo di pane, gridava ormai il Ricceri, paonazzo in viso credevo gli scoppiassero le vene del collo, il mingherlino battitore cercava di mediare e di ricondurlo alla calma, quasi ci intimò il Ricceri di mollare tutto e venir via ed io sinceramente gli fui grato, come fui grato di far parte di quella squadra di uomini che ogni giorno "duravano fatica" facendo orari impossibili, saltando i pasti e rendendo alla comunità un grande servizio... ricominciammo il lavoro orgogliosi e soddisfatti perchè il Ricceri ci aveva con quella sfuriata reso giustizia. Gli soffiai il posto al Ricceri, quando malato non potè presentarsi i primi giorni della preparazione di un asta e toccò a me sostituirlo, ma fu presente il giorno dell'incanto, smoccolava con gli altri portando fuori mobili e suppellettili, non inforcavo occhiali io, avevo ventinove anni e ci vedevo ancora bene, ero terrorizzato di sbagliare lui mi osservava cupo, ma mi lasciava fare senza dire nulla, senza neanche un appunto, il Ricceri che aveva mandato fuori gli oggetti per trent'anni e che in una sera diventò il nostro fiero paladino... sono passati ventiquattro anni da allora, ogni tanto mi soffermo a pensare quel periodo della mia vita, il facchinaggio, i lavori pesanti, i macelli e i traslochi, gli uomini con cui condividevo le fatiche e le schiacciate con la bologna, mi domando che fine abbia fatto il Ricceri, se sia ancora vivo e continui a smoccolare e dare dell'ignorante a tutti.