Cronaca di “Un pomeriggio di un giorno da cani”... abbiamo riscritto la sceneggiatura... caldo torrido delle 14:30 l’auto rovente si lascia alle spalle il grigio edificio nel quale le scrivanie traboccano di pratiche che non vedranno presto il loro epilogo... ma il lavoro ti segue ovunque, i messaggi impazzano e i telefoni bruciano, email, whatsapp, e interlocuzioni, ti sbracci masticando amaro ma è la tua indole e loro lo sanno... poi l’ennesimo squillo, la voce impastata, biascicata, rispondi la mail l’ho inviata, la grana è risolta... no, il sierologico positivo, cosa? Il ragazzo ha passato mesi chiuso in cucina, nessun rapporto con clienti o esterni, il ragazzo è coscienzioso, il paese sardo non conta nessun positivo, niente allarmi, ma allo sbarco non ci sono controlli e il ragazzo va nel panico, perché lui vorrebbe essere indirizzato, controllato... e allora il padre cerca una soluzione, contatta numeri fantasma, chiede autorevoli pareri e alla fine riesce nell’intento e si procede al sierologico... ed improvvisamente cambiano gli scenari e si fa scuro il cielo, positivo recita il responso atteso, e il panico si diffonde, ma io sono stato tutto il giorno con lui alle prese col protocollo recita il funzionario, ma la macchinetta del caffè accanto alla sua scrivania declama la collega prestata al servizio, la mascherina spesso calata... la macchina della sanità si mette in moto, ma la collega ansiosa e ipocondriaca è già svenuta all’altro capo del telefono... che si fa, come lo diciamo, i tamponi, chiudiamo, non andiamo, aspettiamo, partiamo, restiamo, il panico, l’angoscia, tutte le certezze maturate svanite nel nulla, isolamento, chiudiamo l’ufficio, sanifichiamo, ma prima tamponiamo, non vediamo più nessuno, ma come lo dico a mia moglie? E solo qualche giorno prima il lutto ha già colpito e di oggi la notizia della clinica Noto chiusa, e un caso a Villa Sofia e uno al Cervello, tutti addetti ai lavori... perché non è vero che “non ce n’è coviddi” c’è, è subdolo, agisce silenzioso, colpisce tutti, non guarda in faccia nessuno, mascherine, distanza sociale e lavarsi spesso le mani... le telefonate si susseguono frenetiche ma non ci resta che attendere, passano le ore, ma il collega della stanza accanto non è reperibile... poi la notizia liberatoria, il sudore sulla fronte di colpo si asciuga portandosi via tutti i pensieri nefasti, "negativi"! Tutta la famiglia, il ragazzo che ha buttato sangue e sudore nella cucina del ristorante sardo lontano dai suoi può tirare più di un sospiro di sollievo, suo padre può rasserenarsi, i suoi colleghi riprendono la vita che si era interrotta in questo pomeriggio di un giorno da cani, riprende fiato anche la collega ipocondriaca e già prepara proclami e invettive al sistema, e il metro e l’alcool, la mascherina e la visiera, per lo scafandro si sta attrezzando, riprendo fiato anch’io, e colore, e il desiderio di vedere la mia famiglia si fa più forte, il mio nipotino che proprio oggi mi ha inviato i suoi video e un messaggio d’amore, il pomeriggio lascia ormai posto alla sera, i pensieri riprendono il volo, lunedì sarò di nuovo in prima fila, tra carte e mascherine, a cercare insieme ai miei colleghi l’ennesima idea, la genialata, l’impulso vincente per mandare avanti la baracca e provare come sempre a rendere un servizio migliore ed efficiente per la salute dei nostri concittadini, dei nostri corregionali, in barba al covid19 e a tutti questi virus bastardi.
dei miei viaggi, dei miei sogni...
un resoconto, un perpetrare i viaggi, il non lasciare morire i ricordi, la necessità di viaggiare ancora, il desiderio di un biglietto senza ritorno...
4 settembre 2020
13 febbraio 2019
Io aspetto
E' un mese, di non parole, di sedimenti, di incredulità, un mese che sembra sempre quello stesso giorno, che guardo le foto e non trovo spiegazioni, che tutto mi sembra assurdo, inverosimile e sbagliato, un mese e sono fermo sempre lì, a quei momenti convulsi, a quella sofferenza, a quello strappo violento, che non ci crederò mai, che ancora aspetto, e sono sempre lì fuori e aspetto, notizie confortanti, risoluzioni, io aspetto.
3 maggio 2018
E di nuovo cambio casa...
Di quelle notti passate accanto alla radio, supersonic e poi a seguire popoff... e il mio registratorino sbilenco e le musicassette, e poi improvvise le interruzioni dei conduttori, che il copyright... e passavo le ore a registrare riascoltare catalogare mentre qualcuno aveva già lo stereo... e nei negozi di hi fi sbirciavo il marantz, il kenwood, le sansui... restava sempre un desiderio inappagato e ostinato registravo, anche ai concerti, e ogni tanto che riuscivo a mettere da parte qualche soldo ci scappava anche una musicassetta in originale... e adesso eccole qui, queste due belle scatole di legno da vini con tutte la cassette in fila, in ordine, che fanno disordine e sporcizia, che non trovano più posto in queste case moderne, che non rimandano più la loro musica e le loro voci, che forse si son perse negli anni le tracce audio, che tanto il mio stereo non gira neanche più, che tanto gli anni passano e la tecnologia... che basta un click e puoi riavere tutto, che d'incanto il video ti rimanda un suono e riconosci all'istante le parole e torni col pensiero a quegli anni, i tuoi anni, quelli dell'adolescenza, quelli passati a cercare calore accanto ad un termosifone come cantava il Lolli, o guardar giù dalla finestra, quelli del non sai chi sei e forse un giorno lo capirò, che poi in verità io ancora non l'ho capito, ma mi prende il magone e davvero non ce la faccio a gettarle via, e troverò un posticino, e troverò una soluzione, le metterò accanto a quei disegni del liceo che... ma dove li metterò sti disegni? Ma si, accanto ai quaderni della prima elementare... già, quando avevo folti capelli neri e il ciuffo ribelle, resta da capire dove troverò lo spazio, lo spazio, ecco, magari potrei affittare una micro navicella e ficcarci tutto dentro e lasciarla gravitare nel tempo, che poi a chi vuoi che importerà delle tue cassette, dei tuoi disegni, dei tuoi quaderni, dei sogni che avevi e di tutte quelle cose che mi ostino maledettamente a conservare per cercare di fermare il tempo, il tempo che si è portato via i miei capelli, il tempo che non ti aspetta, non ti rispetta, come diceva chi ormai non scrive e non canta più...
5 febbraio 2018
Corsa da... cani
Da lontano la figura della signorina si staglia sullo sfondo del boschetto che tra poco attraverserò, non faccio in tempo a superarla che si gira mi guarda e in un perfetto italiano e con voce baritonale mi apostrofa: "Talè un ci pigghiari i ccà, ci sunnu ru cani nuovi, viu ca si mollano!"... sorpreso, non so se più dalla voce o dall'avvertimento mi affretto a ringraziare e cambiare strada... è il problema di sempre, i cani all'interno del parco della "Favorita", bazzico il posto da almeno venticinque anni e non è cambiato nulla, a volte ho rischiato di essere aggredito dai cani randagi ed altre dai cani portati a spasso da padroni faciloni... corro spesso con una sorta di paura che mi lancia brividi lungo la schiena.
Due giorni dopo ho visto i due cani nuovi, con noncuranza cercavo di attraversare il fatidico boschetto, erano distesi uno accanto all'altro, enormi, neri e sazi pensavo, visti i piatti di plastica vuoti a un passo da loro, passo felpato, ma non è bastato, all'unisono hanno alzato la testa e lo sguardo verso di me, li ho visti bene, due Rottweiler... ho girato i tacchi con solerzia e me la sono data a gambe! Adesso faccio sempre un percorso diverso, un po' mi infastidisce ma non ho alternative, resta la domanda, ma che ci fanno due Rottweiler qui, e di chi saranno?...
27 gennaio 2018
E macina chilometri...
E poi si ricomincia, e sono chilometri, fatica e sudore, e questo bel sole che annuncia primavera, e l'odore della terra, e il fiato corto, e quei dolori alle ginocchia, e la bellezza del mondo che ti circonda, e sono lacrime e sono sorrisi, e stringi i denti e vai, e la voce del tuo trainer virtuale, e spingi e corri e macina chilometri, e suda, impreca e stringi i pugni, e quelli come te, intorno a te, e quelli che ti guardano sorpresi e infastiditi, e spingi e corri e macina chilometri...
16 novembre 2015
Senegal
Parli un italiano forbito, di chi ha studiato, anche se straniero, snoccioli con semplicità l'uguaglianza delle razze, siamo fratelli, io compro il tuo libro e ti stringo la mano, per il tuo sorriso, per la simpatia, per avermi scelto, le mani unite mostrano il medesimo colore anche se diverso e me ne vado felice di averti incontrato, mi dispiace per quell'idiota che ti grida dietro di andare a tirare bombe nella tua Africa, "Solo due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana... e non sono sicuro della prima." mi congedi con questa frase di A. Einstein. Ciao fratello
21 settembre 2015
Diradare le lacrime
Da qualche parte l'ho letto, e così dicono, tre anni e non ci pensi più... non è vero, non lo sarà mai, impari a convivere con qualcosa di diverso, cerchi di allontanare il dolore, diradare le lacrime... ci sono le immagini, quelle forti, che non puoi mandare via, ci sono i momenti che non scorderai mai, ci sono gli attimi fuggiti, le impressioni da bambino.
I giorni scorrono e i pensieri non ti abbandonano, non scrivo più, o perlomeno molto meno, è come se qualcosa si fosse spezzato, come se tutto fosse inutile, è che le parole mi portano sempre a lui, non bastano tre anni, e non ne abbiamo parlato, è calato il silenzio, perché il dolore ci accomuna, perché siamo fratelli, perché il sentire è uguale, non ce lo siamo detti, abbiamo glissato, e sarei voluto andare, ma il lavoro... e sarei potuto andare ieri, si, ieri... osservo il suo volto nel mio, incespico in alcune parole come faceva lui, riconosco troppe cose ultimamente e mi dico che il tempo passa e mi sento più lui... vorrei quei dannati filmini in super 8 degli americani, come quelli che si vedono nei film che scrutano il passato... vorrei poter ridere e piangere, vorrei sentire la sua voce, vorrei sentire il suo odore, vorrei fare di più ma non sono capace, so solo rifugiarmi in me stesso e non so nemmeno essere diverso, poso anch'io la mia fronte su quella di chi amo, non so fare altro, diradare le lacrime, non resta che questo, ma ti saluto ogni mattina Papà, tutte le mattine, quando respiro l'aria del Pellegrino e ti penso lì nella nuda terra.
I giorni scorrono e i pensieri non ti abbandonano, non scrivo più, o perlomeno molto meno, è come se qualcosa si fosse spezzato, come se tutto fosse inutile, è che le parole mi portano sempre a lui, non bastano tre anni, e non ne abbiamo parlato, è calato il silenzio, perché il dolore ci accomuna, perché siamo fratelli, perché il sentire è uguale, non ce lo siamo detti, abbiamo glissato, e sarei voluto andare, ma il lavoro... e sarei potuto andare ieri, si, ieri... osservo il suo volto nel mio, incespico in alcune parole come faceva lui, riconosco troppe cose ultimamente e mi dico che il tempo passa e mi sento più lui... vorrei quei dannati filmini in super 8 degli americani, come quelli che si vedono nei film che scrutano il passato... vorrei poter ridere e piangere, vorrei sentire la sua voce, vorrei sentire il suo odore, vorrei fare di più ma non sono capace, so solo rifugiarmi in me stesso e non so nemmeno essere diverso, poso anch'io la mia fronte su quella di chi amo, non so fare altro, diradare le lacrime, non resta che questo, ma ti saluto ogni mattina Papà, tutte le mattine, quando respiro l'aria del Pellegrino e ti penso lì nella nuda terra.
26 gennaio 2015
Magari un cinema?
Chi l'avrebbe mai detto, il pet e le bottiglie ci avvolgono in un lungo abbraccio, anche molto caldo, ci teniamo le mani e le immagini scorrono, le api e il miele, la rozzezza di un uomo e la dolcezza di una ragazzina, e Monica con quella voce improponibile a fronte di un fisico sempre invidiabile, affondiamo i denti nella soffice e croccante pizza, la mozzarella filante e l'olio crudo, un calice di vino che per molti non c'entra nulla ma al contrario per me è il top, non si rinuncia alla quinoa avvolta in guscio di cioccolato fondente molto equo e molto solidale, poi lo svarione verso climi più freddi e nocciole e cioccolato al latte... e addio buoni propositi... e questa pancia che cresce neanche fossi incinto... echi di voto neanche troppo lontani, un barlume di speranza ancora, siamo così provati e stanchi e stufi... ma ci ritroviamo negli stessi occhi e ondeggiamo stupiti tra la folla e quel nobel sconosciuto e che vorremmo conoscere, e allora prende forma tra le mani e lo portiamo con noi, tra risa nell'aria fredda e la ragazza del dipinto, tra l'amore del mattino e le parole cercate insieme, tra esperimenti vegani falliti e le verdure al vapore, qualcuno imita Quentin e lenta scende la notte, le mani nelle tue mani e l'inesorabile risveglio che ci divide, ancora freddo forse più freddo, un giardino dedicato e le auto portate via, fretta di tornare a casa e aspettare che scorra il tempo, con il termosauro che mi guarda sconsolato e il clima a palla, il sugo che sfrigola e i rigatoni al dente, tutto tace, tutto sfugge, come funziona che in due siamo uno e da soli siamo zero?... musica e vino, le mandorle tostate, chissà quale sarà la mia cena, il the è già andato e le frappole finite, poi sarà mattino, la stronza picchietterà alle cinque e un quarto e la manderò a fanculo ancora, oh nonno eh si si si nonno, ci vorrebbe Bernardo a distogliermi ogni tanto, poi per fortuna saremo di nuovo insieme, controlli, soliti timori... chissà magari un cinema?
5 gennaio 2015
Circo acquatico
Oggi tira un freddo pungente, sarà anche la notizia che Pino Daniele non c'è più, sarà che gli anni incombono... fa un'enorme tristezza vedere questo circo, sembra un cantiere raffazzonato, il venditore di pop corn fa l'uomo di gomma e l'anziana subrette gioca di ruolo in ruolo, si danno tutti da fare, ma è malinconico, triste, e poi gli animali... la foca disperata che guadagna i suoi pezzi di pesce, così come l'unico pinguino... e poi i rettili e i coccodrilli, sembrano sotto l'effetto di chissà quale droga... tristezza e rabbia, e questi poveri disgraziati che cercano di guadagnarsi da vivere, fa tristezza e rabbia... eppure i bambini si divertono, e l'uomo che si improvvisa clown tiene a bada tutti e coinvolge gli spettatori, segna i tempi morti e cerca di regalare un sorriso, improbabili trapezisti mancati, sentore di gabbie, i pellicani, le oche e l'unico cigno, fa tristezza e rabbia... le sedie di plastica e le tavole di legno, i giochi e le carte, la piscinetta, gli zampilli di acqua, due ragazze stralunate che simulano danze e sembrano lontane cento milioni di anni fa, fa tristezza e rabbia... pop corn e patatine e anche lo zucchero filato non sa più di nulla... tristezza e rabbia e una lacrima che scende.
31 dicembre 2014
Sogni
Bernardo mi tiene la mano, camminiamo spediti, è più allegro e simpatico del solito, è contento di essere con me e io con lui, abbiamo finito le commissioni per le quali ci troviamo a Roma, siamo già in aeroporto in attesa del nostro volo, osserviamo le vetrine, i negozi che si susseguono in quella bolgia che è Fiumicino... ad un tratto lo vedo, sta lì seduto, sereno, tranquillo come se aspettasse anche lui il suo volo, mi sento mancare, osservo meglio, ha l'aria di un barbone, buste di plastica, acconciato in maniera trasandata, ma pulito, barba fatta come sempre, mi avvicino barcollando e lo chiamo: Papà! L'emozione mi coglie fortissima e le lacrime scendono, si alza, mi viene incontro, mi abbraccia, Bernardo lo guarda sorpreso, le prime parole mi escono veloci, Papà torna a casa! Lui glissa, quasi disturbato, sembrerebbe una scelta, io vorrei insistere, mi tremano le gambe e la voce, lui sostiene il mio abbraccio e mi parla di quel che fa, prende Bernardo in braccio, caccio fuori l'iPhone per immortalare il momento, sperando che non si accorga, mi dice dei capelli, che questa tintura rossa stenta a venir fuori... si avvicina ad un ingresso, gli chiedo dove dorma, sui cartoni a Borgo nuovo risponde... mi ritrovo il cellulare in mano, piangente, cerco di chiamare mia sorella, risponde un'amica affranta, chiedo cosa succede, e lei, è per via della Francia... la Francine... non capisco, cosa succede, chiedo, dice che non risponde nè a messaggi nè a telefonate, che l'ha presa così... la protagonista di quella serie televisiva francese, cosa? chi? Cade la linea, provo a chiamare ancora, risponde mio fratello, non ti risponderà, non se la sente, comincio a urlare, perdo la pazienza, lo mando a quel paese, gli dico che ho visto Papà... chiudo il telefono e vedo Bernardo da solo, ma il nonno? E' andato via... e siamo fuori, a cercarlo, e d'incanto in casa di parenti, lui in jeans infilati in un paio di improponibili stivaletti colore oro... Papà vorrei venissi via con me, la sua giacca, pettinato, ma allora frequenta questi nostri parenti, qui, a Roma? E' già fuori e noi arranchiamo per stargli dietro, mi sussurra che per certe cose al computer si fa aiutare da mia cugina... cambia la scena, lo perdo e lo ritrovo, forse siamo a Ostia, forse all'idroscalo... d'incanto rivedo la Roma Felliniana, adesso lo vedo, corre, scivola, resta lì, siamo lontani, qualcuno gli porta via qualcosa, almeno così sembra, ma non ho tempo, non ho più tempo, il mio volo deve partire, mi giro ancora una volta, sarà ancora lì? Sarà fuggito via?, Bernardo non dice una parola, si lascia trasportare, reclama soltanto perchè comincia ad avere fame... siamo persi nel traffico caotico, vedo il Colosseo... siamo stanchi, molto stanchi e quella collega mai vista si offre di aiutarci, nella sua stanza c'è un letto, ci poggiamo per un po', Bernardo mangia un gelato a forma di banana e no che io non ne voglio... ci ridestiamo con l'angoscia del volo, lasciamo il letto disfatto, ci scusiamo e andiamo via, le altre colleghe ridacchiano... Poi il caffè del mattino, l'insolito paesaggio con la neve, un freddo pungente, il ricordo vivo di mio Padre e uno sguardo alle immagini sull'iPhone, ma no, lui non c'è, nella concitazione del momento, io che in queste cose non sono una cima avrò sbagliato ad usarlo...
24 dicembre 2014
Buon natale
E' un pensiero costante, la mattina presto, intorno alle sette, alzo lo sguardo mentre sfilo il Pellegrino, annuso l'aria e lo immagino lì, nella nuda e muta terra, sempre la stessa immagine e la stessa considerazione, non dovrebbe star lì... sempre quell'immagine, la sua e quella di Aldo Moro, che poco c'entra, con le mie idee, con quelle sue... similitudini, giochi e scherzi della fotografia, l'aria umida, lo immagino dormiente, pensante, e magari vorrebbe stare seduto, o forse davanti alla tv, chiedermi ancora una volta se quello che gioca è il Palermo, e quanto stanno... o magari vorrebbe ancora ridere insieme, le comiche, i cartoni del sabato, Gustavo... mi prende così, oggi, che del natale francamente me ne infischio, ma mi piaceva la luce negli occhi di mio padre, e i regali dei bambini che eravamo, poi le immagini scorrono e lascio il promontorio, la pianura si allarga e la gente corre, i prati son bagnati, i cappellini in testa, dovrei essere lì... qualche scappato di casa incita alle imprecazioni, ma dai, che schifo di città e di gente... gli ambulanti e il suolo pubblico, e quel cazzo di posteggio che non si trova mai, no, le ferie no, niente per nessuno, mi guardo in giro, sono solo, perbacco il collega di stanza è rientrato proprio oggi, e fuma, nella stanza, la mia influenza curata al lavoro ringrazia, caffè, due chiacchiere, il lavoro sporco che qualcuno deve fare, oggi quel qualcuno sono io... poco importa, un pensiero a quello che potrebbe essere ma non sarà mai... il default sarà solo uno spauracchio? Bernardo ha scritto a babbo natale... eccoci soggiogati al vile mercato, poco male, i suoi occhi brilleranno come brillavano i miei, felice di essere ateo e di augurare a tutti di poter gozzovigliare ancora per quest'anno che il prossimo si vedrà... le luminarie e il concerto e quanti sprechi, abbraccio virtualmente quanti hanno perso il lavoro e quanti lo cercano ancora. Buon natale...
12 novembre 2014
Quel treno per...
E' che ogni tanto mi smarrisco, dimentico, non so valutare... e allora ricominciano le scorribande della mente, e viaggio, e sogno, e combino disastri, la fortuna è che tutto avviene nel mio cervello e non do a vedere nulla... eppure a tratti mi sento inadeguato, inutile e demotivato, a tratti come tutti, in questi anni di incertezze, di difficoltà, si, lo so, è il solito leitmotiv della banalità... vorrei vedere quel sorriso, come quello della foto, con le mani intorno al collo, con gli occhi nascosti dai tuoi grandi occhiali, e l'aria serena e rilassata, vorrei che fosse tutto perfetto, e ridere e scherzare, e allora lasciamoci indietro un po' di seccature e godiamoci il momento, non ricordo quando ho preso l'ultimo treno, e non era per Yuma... cerco tra i miei pensieri, inevitabilmente impresso nella mia mente quello con mio figlio di cinque anni disteso sulle mie gambe in terra nel corridoio... saranno cambiati i treni oggi? Non credo... ma lo cambieremo noi, insieme, lasceremo tutti giù e diventeremo capitreno e capistazione, saremo vetturini, inservienti e cuccettisti, ce la giocheremo alla grande e tutto il mondo fuori, ma nei treni di oggi c'è il WI-FI? Figurarsi, in un treno che parte dal sud? Non scherziamo! Me li ricordo quei viaggi, stipati, accaldati e con i bagagli addosso... niente di niente, neanche un controllore... e le ragazze di Salerno mentre Renato cercava di dormire... e il messinese trapiantato al nord che ostentava uno strano dialetto polentone che magnificando la sua nuova città diceva peste e corna della sua Sicilia... e i bambini piangenti e le arance, e il tappeto di rifiuti e il caffè dai termos... e non si dormiva mai e non si arrivava mai... ma adesso hanno un nuovo look, sedili più comodi, vagoni confortevoli... partono e arrivano in orario e sono economici ed efficienti... forse
13 ottobre 2014
Il fruscìo
Io me lo ricordo bene il fruscìo, quando tutti stavano a guardare trepidanti e magari con la bocca aperta, seguendo la traiettoria che si spegneva in fondo alla rete, e il fruscìo, quel bel fruscìo, netto, setoso, che seguiva magari l'incornata e il suo tipico rumore secco, e poi la palla che rotolava e i calciatori che esultavano e quelli che si sarebbero messi a piangere, e gli spalti, che una volta non erano così alti, e la gente che urlava e ripeteva gol e magari si abbracciava e rideva e piangeva, io me lo ricordo bene quel bel fruscìo, non l'ho mai dimenticato, e quando giocavo non lo volevo sentire perchè allora mi avevano fatto gol, ma nella strada, sull'asfalto o quando andava meglio nei campetti improvvisati non c'era la rete e al massimo il fruscìo era solo quello del pallone che schizzava sulle cartelle a mo' di palo... il fruscìo, cosa darei per ascoltare quel bel fruscìo, cosa avrei dato, e quella bottiglia che mio padre conservò per la nazionale, chissà che fine ha fatto, persa nei sogni di un ragazzino che aveva la stoffa e l'asma, e a quei tempi non era pensabile accollarsi questa responsabilità, a quei tempi, la mia mano stringeva quella dello zio che mio padre non ne voleva sapere anche se col suo piede sghembo faceva a tirarmi i rigori tra gli alberi della Favorita, poi lo zio non ebbe più il tempo e allora divenni grande e andavo solo ma guardavo poco la partita che invece molto più bello e interessante mi pareva ascoltare i dialoghi e a volte le zuffe tra i tifosi, che tutti erano allenatori e tutti avrebbero vinto le partite... continuavo a pestarmi le dita e sbucciarmi le ginocchia che la mamma chissà quante tute rammendava, sudavo e tiravo ma poi allo stadio andavo e mi addormentavo che alla fine dovevo chiedere il risultato e allora mi prendevano per portoghese che magari fossi stato a Lisbona a conoscere il grande Eusebio, che mi vengono i lucciconi ma come lo posso spiegare ai ragazzi d'oggi e magari un giorno al mio nipotino che a quattro anni sembra avere il guizzo ma vuole già un telefono, il fruscìo, che bel suono il fruscìo, e quanto si alzava in aria Tanino e poi lo vedevi per strada con la sua porsche novecentoundici bianca e sentivi il fruscìo come quando i suoi palloni finivano in rete, e non l'ho più sentito il fruscìo che il calcio a cinque non c'entrava nulla, e continuo a pensarci e proprio oggi ho rivisto una foto del settantadue e ho rivisto Tanino e Sandro e il mitico Spartaco e mentre guardavo sentivo il fruscìo e forse una lacrima, che gli anni scorrono e si diventa vecchi e fragili e molto più sensibili, e addio menischi e addio crociati, ma resto lì con i miei guantoni a difendere la mia porta e nel cuore il ricordo dell'erba tagliata, il gesso e quel bel fruscìo...
21 settembre 2014
Settecentotrenta
Mi perdo tra i viali sotto un cielo coperto carico di umidità, salgo e ridiscendo gradini guardandomi intorno, mi sembra tutto diverso, cambiato, ricordo un numero ma non trovo riscontri, infine lo vedo. Le pietre formano quasi un'ovale e cingono il bordo inferiore del vaso col nome, fiori freschissimi di giornata, certo, contiamo i giorni, li conteremo per sempre è inevitabile, timidi raggi si posano sulle lacrime che scendono lente, seduto sui gradini mi perdo nei pensieri, onnipresenti immagini dolorose di quell'ultimo istante, l'incredulità e la sofferenza, le assonanze, immagini che si sovrappongono e cominciano a minare la mia apparente tranquillità, inquietudine e timori, cerco di scacciare i pensieri come insetti molesti, prendo a camminare e leggere intorno, date, anni, foto, voci lontane e chiacchiericci sommessi mi molestano, non li sopporto, guadagno l'uscita spossato, affranto, con un peso sul petto che non mi lascia respirare, sgomento come se avessi appena ricevuto una notizia terribile, torno a casa e mi lascio cadere sul divano, la notizia è dell'aprile del duemilacinque, ferale e indigesta, di quelle che lasciano il segno e ti accompagnano per tutta la vita, tentativi inutili e epiloghi già scritti, asciugo le lacrime e provo a respirare, passeranno i giorni ma questo dolore non mi lascerà.
27 maggio 2014
Ma è lo stesso
Forse bagnati da un sole diverso, o fradici di acqua e stretti nelle mani, forse meglio del rustico o del vegetale ikea, meno vestiti, meno attrezzati, con più soldi nelle tasche, ma in definitiva quello che volevamo è stato, al più festeggeremo in altra compagnia, non vedremo lo stupore dei visi, la carta lacerata e i commenti divertiti non ascolteremo, più leggeri di cibo e forse, ma soltanto forse, più riposati... di canti e grida e chilometri macinati, di risate e cappellate, di soste e caffè e stuzzichini stampati, di auto soffocate e negozi immensi, ma siamo stati insieme ed è come essere andati, che niente è perduto e tutto ancora da fare, trapano e cacciaviti, poi rampicanti e luci e pasta acida a cuocere nel forno e pizza e lazzi e per Frida c'è e ci sarà ancora tempo. Mi specchio nei tuoi occhi e ti sento respirare, tengo le tue mani e si placa il mare, ti bacio Amore mio e vado a visitare quel cuore matto del mio amico...
22 maggio 2014
Dei compleanni
Adrenalina e viaggio, stupore, evasione, e non smetterei mai, mi spiace la tua sofferenza ma ho tralasciato l'alternativa, nella foga del mio piacere nego il tuo dolore, dopotutto dodici ore filate di corriera non ci avrebbero ucciso, ma vuoi mettere trovarsi sul pezzo appena svegli o quasi? Pimpanti, energici e decisi a mangiarci tutto, pioverà o non pioverà, ce la faremo o non ce la faremo, ma saremo noi, liberi dalle ossessioni del consueto e freneticamente in ballo, Frida capirà e la pizza al teatro farà a pugni con carapina e grezzo, forse Warhol ci guiderà tra il pop latinoamericano e il suo, qualche altro arcobaleno e note dell'autore, saltellando di piatto in piatto e tirando a far tardi, forse la città del cibo e i giapponesi, o forse soltanto il lago, ma ci guarderemo negli occhi e ci terremo per mano, mentre piccoli cangianti animali ci rifaranno il verso illuminandosi al buio. Buon compleanno a te, a loro e a noi.
30 aprile 2014
Inumazione
Tira un vento ancora gelido tra i rami dei pini e il timido sole, gli operai in tuta bianca, visti da molto lontano, hanno un aspetto professionale... poi li vedi da vicino e soprattutto li senti parlare e... indossano guanti plastificati blu, quegli stessi guanti che anch'io usavo venticinque anni fa quando mi caricavo sulle spalle le future braciole dei fiorentini... lui parla fitto e gesticola, prende ottocento euro al mese dice, quando lo pagano... ci informa sul da farsi, ci da le dritte per evitare che tra quattro anni i poveri resti vengano gettati in una fossa comune, sbigottiti lo ascoltiamo senza quasi riuscire a parlare, poi alacremente si mette al lavoro, uno dei parenti gli passa dei quadrati bianchissimi che usa per detergere le povere ossa, le tira fuori da un ammasso di fango e detriti, pulisce alla meglio il cranio, toglie le scarpe alla donna e fa scivolare lentamente i collant... e ne tira fuori femori, tibie, poi le costole, il bacino, gli omeri... surreale e terribile, non dice una parola e prosegue sicuro il suo lento lavoro di pulizia, ripone garbatamente i resti in una piccola scatola di metallo, mi prende un senso di nausea, mi gira la testa, aspetto che portino la bara di mio padre che occuperà a sua volta il posto lasciato libero nella terra umida, un vaso con i fiori tra terra smossa, lapidi distrutte, resti di oggetti a volte indecifrabili e poco più sotto una distesa di lapidi e vasi e giochi di bambini, il campo delle morti premature, per quel che ne so se non proprio prematura quella di mio padre è stata almeno inopportuna, per le modalità, per la gestione della malattia da parte degli innumerevoli medici, per le sofferenze e il dolore, per l'enorme vuoto rimasto, resto smarrito, disorientato, dopo quasi due anni il calvario infinito, la lunga giacenza in un deposito comune, la permanenza provvisoria ospite in una tomba di persone sconosciute, ancora il deposito e infine la nuda terra, ma solo per quattro anni, poi si vedrà, non dipenderà soltanto da noi, la mineralizzazione delle ossa, il rispetto della normativa, le eventuali volontà del defunto ormai violate, l'impotenza di fronte alla burocrazia, al business e alla mafia, varie ed eventuali, sarà questione anche di denaro, di possibilità, il Comune mi pare di aver capito che se la salma è mineralizzata ti offre la cremazione gratuita... è da ieri che sento un groppo in gola e avverto vertigini e nausea, la nuda terra, gli smottamenti, l'acqua piovana, i gesti maldestri, l'incuria e l'ignoranza, e quel caterpillar che seppure di dimensioni ridotte continua a calpestare, rovistare e scavare tra resti ed erba spontanea, vorrei, quando sarà il mio momento, disperdermi, dissolvermi, sparire nel nulla e lasciare in quelle poche persone che mi avranno voluto bene soltanto il ricordo, l'immagine magari di un mio sorriso e nient'altro.
16 dicembre 2013
Fuffa
ventisette anni, diciassette anni, che cazzo si capisce, che cazzo resta? Mi appare incomprensibile, follia latente, disconosco, mi arrovello e non ne vengo fuori, provo a immaginare, sono un ragazzo di diciassette anni, sì ok, ma la differenza sostanziale è essere maschio, ok, ci provo lo stesso, incontro lei, affabile, carina, più grande, cazzo, già non funziona, proseguo, non so quante volte, quanti giorni, ma nasce qualcosa, qualcosa? Ma cosa? Forse del prurito dentro ai pantaloni di un ragazzo di diciassette anni... si può equiparare? Ad ogni modo, forse un bacio, non si ricorda, non ci ricordiamo, poi la vita prende il sopravvento e scorre, inesorabile, per ventisette anni, di scelte, di sbagli, di sofferenze, di gioie, ed ecco la richiesta, vediamoci... ma vediamoci che? Cosa? Perchè? Se ci siamo persi di vista per ventisette anni ci sarà un motivo o no? Ma qualcosa nel profondo sarà pur rimasto, la sensibilità... un bel ricordo... una sensazione di benessere? Io posso capire cosa spinga un uomo, ma una donna? E' un guazzabuglio, non ne vengo a capo, forse dovrei chiederlo ad una donna, forse... ma come si può rispondere: perchè me l'ha chiesto... cazzo, una volta ho rivisto un tale che non vedevo dagli anni del liceo, baci e abbracci, seppur neanche tanto graditi in effetti... tre giorni dopo il tipo in questione era stato assicurato alle patrie galere con l'impensabile accusa di ben ottanta e più omicidi sul groppone... io non la voglio vedere una persona che non vedo da ventisette anni a meno che sia motivato da qualcosa di forte, non rispondo a missive con baci e lazzi e frizzi, non do il mio telefono ad un perfetto sconosciuto, tanto più non gli celo la mia attuale situazione sentimentale e non corro ai ripari confidando il contatto, io resto basito e non mi spiego, ma come dice il detto ogni testa è tribunale, ok, ma molto spesso nei nostri tribunali si perdono i carteggi, si nascondono le pratiche, si annidano i corvi... resto della mia idea, e se così fosse costui meriterebbe un sonoro ceffone, e qui mi fermo...
10 dicembre 2013
Parrebbe ieri e invece è oggi
Di passi furtivi e veloci, sguardi celati e cappelli, lucetta al soffitto e mani unite, tepori primaverili in dicembre e tensione e brividi, e dopo le parole, dopo il desiderio, l'incontro leggero, il timido bacio, il tenero abbraccio, la strada testimone, i passanti incuranti, il cielo coperto e gli sguardi vergognati, le parole sottili e sussurrate, gesti gentili e naturali, i giorni, gli attimi, le fughe, i sorrisi e i pianti, di auto, di soste, di attese e rinvii, di tremiti, gemiti, paure e ansie, di passione e amore, di parole e sguardi, di carezze e baci, iniziazioni e ritmi tribali, scoperte e slanci, di cibi e vini, di film e libri e tutti i giorni trascorsi e quelli che verranno, parrebbe ieri e invece è oggi.
8 agosto 2013
Aeroporti
Il sudore cola sulle guance, impregna la maglietta e l'aria condizionata lo gela alla schiena, allungare i piedi e cercare di rilassarsi, è sempre così, lunghe attese, altoparlanti, code, ancora attese, il piacere di attardarsi tra le vetrine e osservare le persone, i trafelati e quelli con tante ore davanti, a volte tocca correre per una coincidenza e altre lì dentro ci passi le ore, ci sarà tutto nello zaino? la solita lista... e nel bagaglio a mano? qualcosa che non passerà i controlli?... il victorinox salvato in estremis tra Lima e Iquitos... vagare per Fiumicino con le scatole di vino cileno... lo stupore e l'allegria del vecchio al Comodoro Arturo Merino Benítez, la gabbia per il fumo del Barajas, le travi in lamellare di Ushuaia, il fascino degli aeroporti, irresistibile passaggio tra i desideri e le mete agognate, è parte del viaggio e per questo mi mancano.
2 agosto 2013
Churrasco
Emozioni, rodizio, la nausea, forse abbiamo esagerato... e non la smetti di baciarmi tra un controfiletto e una picanha, i fagioli neri e il vago sentore di sudamerica e una suadente musica lontana, churrasco e vino, ma quella caipirinha si rivela devastante, la ragazza brasiliana ci sa fare e non lesina la cachaça, a breve usciremo dal locale a quattro zampe... mi piace il vestito da squaw e non temo frecce alla schiena, peccato per l'auto che giace in attesa di soccorso, sbadata... tra poco lasceremo le sedie scaldate tra inverno e primavera, cercheremo rifugi e sogneremo bianche spiagge bagnate da sole e mare, idee tante e soldi nisba, ricameremo nidi e riceveremo strali, avremo la nostra dose di pelle bruciata e cucineremo insieme calamari e fagioli, silente il forno e urlante la pasta madre, ma saremo insieme, in attesa di scatole di cartone danzanti, fogli di giornali mai letti e chilometri di nastro adesivo, sarà divertente, avvilente, stancante, affascinante, sarà la vita che prende il sopravvento e ti costringe e stritola, ti abbatte e poi ti fa grande, ti insulta e poi ti elogia, sarà l'ennesima avventura e come nei film americani orizzonte radioso luminoso in dissolvenza tra baci, lacrime e applausi.
26 giugno 2013
Tira un'aria
Tira un'aria autunnale, al ventisei di giugno, e tira l'aria di fagioli freschi, mi pare di sentirne l'odore, di sentire il sapore dell'acqua dei fagioli cotti, sul pane fresco con il sale, l'olio... tira l'aria di gomme per cancellare e grafite nera sulle dita, l'odore di fresco di stampa, quello dei quaderni che i bambini scelgono per l'inizio della scuola, tira l'aria del sole d'estate cocente dopo il pranzo e i giochi di bimbi tra le piante, le lucertole, le formiche, tira l'aria dei ricordi ancestrali, tanto lontani nel tempo da fare contare gli anni per dirci che diventiamo vecchi, l'aria dei calci al pallone sull'asfalto, dei primi amori, delle scoperte... aria di lacrime e delusioni, di gelati col biscotto e collezioni di monete, l'aria di istanti riportati alla mente e velocemente perduti, l'aria di festa, di sale e mare, di delusioni e pianti, del mare in maglietta a sudare, dei desideri impossibili, delle fantasie nelle canzoni a quarantacinque giri e le gazzose e il camion delle bibite e il carico per l'estate, della calce viva nel pozzo e delle pigne verdi tirate per far male, del fresco di una pineta e di sentieri segreti, di un fortino in pietra a secco e i cocci di vetro nella corsa e il sangue, di polvere agli occhi, i bulli e le ragazzine, il motorino col colore improponibile e i ragazzi più grandi, un film all'aperto e la tracina con le spine al piede, gelato nel cornetto, e il barboncino audace, Agnese che era la dea in sogno e la mazza da baseball, e ancora quei film del mattino per marinare la scuola, Aznavour e la Bohème, la radio, e le grida degli ambulanti...lo sfincionello sulla spiaggia e le ciambelle, il latte ghiacciato che ci vuol dopo il bagno zucchero e cannuccia, il bagno, il sale, l'acqua nel naso e gli occhi che bruciano e arrivo alla boa e ritorno, la sabbia nel costume e l'autobus affollato, tira l'aria della scuola finita, della luce forte e delle cicale, del timore degli esami e dell'anno che verrà, tira l'aria dell'adolescenza finita, delle sigarette e delle canne, tira l'aria del passato, del ricordo lacerato, del presente sempre in agguato.
21 giugno 2013
Era mio padre
Ricordavo nettamente la cioccolata, era una cioccolata scura, non molto densa, un'abitudine, un rito, non ricordavo gli oro saiwa, i mitici oro saiwa, oggi sarebbe il suo onomastico, lo è, ma io non me ne sono mai interessato più di tanto considerato che mi sono preoccupato anche di farmi sbattezzare... eppure adesso darei qualsiasi cosa per vederlo intingere il suo oro saiwa nella cioccolata calda, ieri pensavo a lui mentre stavo con Diego, cercavo di ricordare il suo rapporto con Valerio, ma il rapporto tra un nonno e il suo nipotino non lo può intendere nessuno se non loro stessi, e adesso Diego mi chiama nonno e mi abbraccia, gioca con me a perdifiato e dimentica persino i suoi amati cartoon, cosa passava tra mio figlio e mio padre? So cosa passa tra me e Diego, so come pesano i rimpianti e so come possono essere amare le lacrime, so che penso a lui tutti i giorni e che non dimenticherò mai alcuni momenti salienti delle nostre vite insieme, so che riconoscerò sempre più ogni giorno che passa il suo volto nel mio volto, le sue mani nelle mie mani, alcuni gesti, alcune parole, e che non finiranno mai le lacrime.
16 giugno 2013
Le immagini che scorrono
Quei nostri calici di vino rosso e le mani che si cercano, ripararsi dall'ultimo freddo e lasciare fluire le emozioni, il pane caldo e le immagini che scorrono, le pagine sfogliate e la luce sul comodino, profili tracciati nel sudore tra lacrime furtive, il profumo dei capelli e gli orecchini appesi sul divano, i brividi sulla pelle e le giornate consumate, la sveglia inopportuna ci trova abbracciati, poi lentamente scivoliamo fuori del letto, aroma di caffè e le nostre giornate ci dividono e restiamo in attesa, del nuovo incontro e del riflesso di rubino.
14 giugno 2013
Por fin te he encontrado
Rannicchiato al sedile, occhio vigile e scatto pronto, ora è nuvolo e piove, ora è sole e sudore, Holbox e Chiquilá, Cancún non ci avrà, lo sguardo vaga, spazi infiniti, bellezza e povertà, i bambini si rincorrono sull'asfalto bruciato dal sole, polvere e sete, il grande caldo, le notti insonni, carta frusciante e dimenticata, l'uomo mi guarda sorpreso sarà lì da chissà quante ore e non si era accorto di nulla, credo gli occhi si velino di pianto, raccolgo e pongo nelle sue mani, corro, perdo il mio pullman, non ha neanche il tempo di ringraziare, stupito, roseo adesso in viso, e la borraccia regalata al bambino, e quell'altro e il cappellino, annaspo, inciampo e cado, pietre roventi, tagli alle mani, e urla e imprechi, la notte scorre nel nostro sudore e la ragazza sul tetto ha scelto l'indigeno, la spagnola mi insulta e la cilena mi indica la galleria d'arte moderna, dove sei, dove sei, tienes una maleta azul? Fucile imbracciato e lupo sul sedile, no señor no tengo frutas, no ho solo fatto due tiri a una canna che non era da zucchero, quest'ananas così dolce e le fritture di strada, i mille rivoli di buccia d'arancia o limone, i ragazzi assiepati e in fila con le uniformi colorate e le bande e il cesso che viene da piangere, le misture del farmacista e il lago, la ragazza della reception e gli occhi nel buio, stanco spossato, non ne posso più di questa lingua e neanche due bustine sortiscono l'effetto sperato, turbine, il sale, le pietre, le monete, la moneda, il pavimento gira, l'università e il cinema, quell'improponibile cappellino con la scritta viagra, preda delle sue follie, scatto il tango e affondo el tenedor, chissà chi siamo e cosa portiamo, veniamo da lontano, andiamo lontano e le scatole non le aprono mai, voglio distendermi al sole, sentire la brezza marina, baciare le tue labbra e dire che ce l'ho fatta, por fin te he encontrado e adesso che il viaggio è finito, possiamo ricominciare a viaggiare.
7 maggio 2013
La biscia striscia
Capita, che ci si immagini qualcosa che puntualmente si materializza... la biscia striscia, veloce, improvvisa, facendomi schizzare l'adrenalina, detesto tutto ciò che striscia, provo ribrezzo e in qualche caso paura pura, schiaccio quaranta oggi, lo so, il passo già veloce diventa frenetico, ho fretta di lasciarmi la biscia alle spalle... le africane in attesa come sempre mi invitano, detergo il sudore con la mano e proseguo imperterrito la mia corsa, a tratti il sentiero stringe, quasi una morsa di facile agguato, il crociato strappato che urla il suo dolore al cugino del destro, menisco e sovrappeso, non sono più gli anni dei diecimila, i ventuno, nè tanto meno i quarantue e centonovantacinque... fatico, sudo e impreco e le immagini si sovrappongono, l'espediente dei pensieri che travalicano nel sogno, ma oggi devo stare attento, scruto le pietre ad un passo da me con il timore di ciò che mi lascio alle spalle... il ritmo accelerato, il cuore all'erta, c'è sempre il ritorno e la farfalla improvvisa sussulta al cuore e alle gambe... poi c'è la gimkana tra condom e fazzoletti usati, e lì ad un passo i bambini fanno festa tirando calci a un pallone... picchia il sole dove un tempo fiorivano lunghi capelli e tace il fiato e d'improvviso, il rettilineo finale, in leggera salita, stiracchio tendini e muscoli e reintegro i sali, quel benessere diffuso che implode alla cervicale... aria calda ed esercizi rubati al web, infine antinfiammatori... le scarpe cedono in punta ed ospitano il risultato baropodometrico, inutile probabilmente a distanza di sedici, diciassette o diciotto anni... provo l'inganno che a tratti sortisce l'effetto sperato, si va avanti tra espedienti sempre diversi, il corpo si inganna e recita ancora, resiste, insiste, e il maledetto gonfiore che non desiste, persiste e m'affanna e m'indigna... di solo frutti e tè verde a pizzichi di canna, di sbrachi sottili al gusto cioccolata, e ripieghi forzati. La vipera infine è morta, non mordeva più, porterà con se i mille segreti che marciranno con lui nella tomba, invero avrei preferito altre dipartite... se tu mai dovessi incontrarlo, comunque, che non si sa mai... dagliene uno anche per me, bello forte ti raccomando, sulla gobba magari, chissà che vengano fuori tutte le agende trafugate...
12 aprile 2013
Not one word
Di tempo e di giorni, che di parole no, dello scrivere e del bloccarsi, del silenzio e degli sguardi, quell'immagine, sovrana, le notti gelide, lì nella terra, quell'immagine finale scolpita nella mia mente, sbuffi e lamenti e poi il nulla, di non riuscire a scrivere se non per ricordare che non si può dimenticare, costretti e oppressi dentro un'immagine e uno stato, che sembra un'idiozia di volerne parlare, o volere parlare d'altro, o lasciarsi andare ad altre sensazioni e menzionare di amori e benefici e stati d'animo, io non ci riesco, l'assenza che percepisco come costante presenza che mi induce alla rinuncia, il dolore sordo e il grido trattenuto, che non ho neanche voglia, che la parola resta muta e le lacrime recitano nella notte, che poi passa, dicono, ma spesso quelli che lo dicono non sanno cosa sia un'assenza, e intanto scorre il cielo e piove, se non lì fuori dentro di me.
31 gennaio 2013
E' tornato il sole
Quella piccola ragnatela in basso a destra potrebbe deflagrare... che zelo, che onestà, certo sapere che a volte chiude gli occhi mi indispettisce, ma forse soltanto perchè stavolta non lo fa con me... bruciano trecento euro che occorrerà spendere, tutto qui, in questo momento di crisi... la crisi al mio portafoglio va avanti già da diversi anni, tutti quelli che non hanno conosciuto viaggi... ma è giusto così, non posso esimermi e poi sedici mesi sono più che sufficienti per sottrarsi alle regole, se non esistessero gli svedesi non mi troverei in questa situazione... e poi bolli, tasse, fantomatici abbonamenti a visioni non richieste, cambiare la denominazione no? Tassa sul possesso, d'accordo, ma cancelliamo gli acronimi... intanto fioccano proposte e regali, regali si fa per dire che poi tocca sempre agli stessi pagare... per fortuna certe pause ristorano, gratificano ed emozionano, perchè ancora ne siamo, per fortuna, capaci, ricchi piatti, le foto, le risa, candelabri in fumo e piercing edilizi, ansie e paure e voli pindarici... le mani che si fondono e gli occhi che si ritrovano, e poi è tornato il sole.
9 gennaio 2013
Sindrome influenzale...
La piccola mousse al bicchiere con le nocciole pralinate, il cremoso al cioccolato e il pan di spagna eletto, io vedo la luce gialla, è la febbre che inesorabile sfiora i trentanove gradi, i piccoli bambini del girotondo di carta della mia infanzia volteggiano ancora sull'armadio, non è quello dei miei genitori, non è il loro letto dal quale il mio sguardo si perdeva in un infinito corridoio inondato di luce gialla... e poi le stringhe che mi legano si sfibrano, ma sono molteplici, e il cortile della scuola elementare e i ragazzi e le grida, le allucinazioni, le visioni, ci gioco su un po' e quasi intimorisco lei che mi assiste tenera e premurosa, dopo anni di cure solitarie, una notte accanto conforta, e il mattino lascia storditi e increduli, piccoli sommovimenti e quello strano dolore allo sterno, il medico insiste perchè faccia un elettrocardiogramma in presenza del dolore, difficile direi, considerando le attese del pronto soccorso e gli improbabili appuntamenti, anche a pagamento, da qualsiasi cardiologo di turno, non me ne curo in verità, conosco bene quel dolore, sono anni che ci convivo, ma se si ripresentasse terrò in considerazione il consiglio... capita che la malattia sopraggiunga in uno dei momenti più intensivi di ogni mio anno lavorativo, una consegna urgente e irrinunciabile mi costringe a saltare giù dal letto e protrarre la normale giornata di lavoro saltando anche il pasto, succede, mi rinfranco nei suoi occhi, anche se velati da un'improvvisa prova del contagio, e per pochi minuti rubati al suo pomeriggio di lavoro, la frangetta birichina e il suo dolce sapore, il caffè in offerta per mia madre, i libri regalati a mio figlio, il discolo con i riccioli arruffati sveglio da pochissimo che rilascia un lieve sorriso al mio solletico ai suoi piedi... e quella chiave da allungare, il balsamo preso per shampoo e il gel per la barba, dopo una giornata non se ne parla ancora di cenare ma lo stomaco non reclama, l'aglianico del vulture macchia il vetro del bicchiere e gli spaghetti alla fine saltano nel sugo di pomodoro e spariscono sotto una coltre di grana grattugiato, riprendo a leggere speditamente e il secondo dell'anno sta per terminare, sarò più attento, più preciso e puntuale, un ultimo pensiero avvolge la lampadina e sfuma e spegne, e che non mi svegli tanto presto e che possa riposare e che domani si stia insieme.
3 gennaio 2013
Del fuoco che arde
E sono musiche a sfiorare il cuore e luoghi nella memoria, e il volto di mio padre, e le tue lacrime da asciugare, e le strade che percorreremo e le nostre mani unite, e i tuoi sguardi sgomenti e le mie domande stupide, e la solitudine delle notti e le colazioni insieme, e ancora musiche e viaggi, e cieli e mare, e pioggia e vento, e le mie lacrime da consolare, i tuoi capelli da asciugare, e vino e cibo, e saltimbanchi, e voli e slanci, bambini in festa, e sabbia e terra, e sole e neve, e le tue lacrime da capire e i miei capelli da disegnare, e frasi e canti, e le pagine dei libri, e le immagini al grande schermo e le parole, e le risate improvvise della notte e il rimmel sciolto dalle lacrime, e la paura di cadere e il bisogno di tornare, lo sguardo assente di mia madre e le grida allegre dei bambini, il buio di una stanza e il solito rifugio, l'immaginazione e il crollo della diga, le urla del deserto e la rosa di Atacama, l'alcol nelle vene e il vecchio palafreniere, le patate lesse e il mitico fagiolino, com'è vero che non voglio restare da solo a contemplare, che non voglio avere niente ed è già più di tanto, che i giorni se ne vanno via e la strada è ancora lunga, dei desideri umili e della cattiveria umana, delle incomprensioni e del vivere bendati, della libertà di agire che spezza le catene e ricomincia a sperare, di larghe vedute e orizzonti lontani, del fuoco che arde e della bottiglia finita.
18 dicembre 2012
Questo vento
Il cielo si dipinge di un nero intenso, sorprendentemente tratti di blu, e il vento, che sferza il viso, che provoca fastidio, il vento, un vento tiepido che sa di mare e sabbia, che sa di pioggia, le mani nelle tue, gli occhi negli occhi, un vento che sa di tropici, odora di canne intrecciate e sorrisi smorzati, di pioggia improvvisa e grandine e poi ancora squarci di sole, di grano cotto, di effluvi e aromi, la vaniglia nell'aria e il cioccolato temperato, di baci, di appartenenza, di amore, di un anno faticoso e intriso di gioie e dolori, di tristezza e allegria, di bambini e di uomini che sono andati via, di qualcosa che sai non potrai fare mai più nella tua vita, di timori, errori, ansie e tormenti, di riflessioni, considerazioni, passioni e sentimenti, di cose che non si potranno dimenticare e di avvenimenti attesi, di abbracci, slanci, e conferme, e il vento aumenta e tira forte, spazza le strade e sradica alberi, fa danni e si placa, riprende furioso, impetuoso, non risparmia niente e nessuno, si porta via anche le lacrime.
16 dicembre 2012
Parlo con me
Mi tiro il lenzuolo sul viso, cerco di chiudere gli occhi, dormire, le lacrime scendono lente, a tratti un singhiozzo, ho freddo, mi agito, vorrei sdraiarmi sulla nuda terra, toccare ancora il suo viso e percepirne l'odore, mi è presa così oggi, è tutto il giorno che non riesco a scacciare il pensiero, ma perchè scacciarlo poi? Rivedo gli ultimi istanti, le lacrime intorno, il suo viso, il colore, e poi gli occhi chiusi per sempre, oggi è così, non ce la faccio, sento che lui è ancora lì nel suo letto, che mi osserverà stanco dopo l'ennesima iniezione, che accennerà un sorriso e ancora potrò tenergli le mani, non riesco ancora a convivere con il dolore.
14 dicembre 2012
Di progetti non ancora del tutto...
E sono certi sogni, e certi pensieri, che lui ancora sia qui, la fatica, la voglia di non scrivere, tuffo lo sguardo nel vino e assaporo l'arancina, mi sento così rilassato, è un bel vedere, un bel sentire, i bimbi che fanno festa e la tua mano, i tuoi occhi, momenti intensi e irrinunciabili, e sogni, e lampi, e sole, e giorni, e libri, e film, e cibo, e amici, e questo lavoro che non soddisfa, e pensieri di andar via, i soliti flash, rigurgiti, il desiderio del viaggio che torna, le prossime festività e il fastidio, ma sono giorni, questi giorni, immensi, il piacere di stare insieme, il desiderio di crescere, gli sguardi, i sentimenti, la vita che scorre, le sorprese, gli anni, i cambiamenti, i dolori, le pagine dei libri, l'amore, dalla lucina sul tetto è stato un crescendo, piccoli tesori di inestimabile valore, di progetti non ancora del tutto...
9 ottobre 2012
Carte strappate
Quel qualcosa che rimane, che si tiene
dentro, spariscono le carte, tra timbri, bolli, documenti, non si può
più toccare e pulire il legno così come mia sorella aveva
continuato a fare in questi giorni, adesso lui è ospite, lo abbiamo
accompagnato, nel silenzio spezzato dai gesti bruschi e gli strilli
degli addetti ai lavori, un'altra scena pietosa che non ci si è
potuti risparmiare, e poi ancora timbri e carte e firme, e
comunicheremo all'agenzia delle entrate che in cinque vi siete
spartiti ben centoquarantottoeuri... lo accompagnavo spesso presso le
banche, per chiedere un ulteriore fido o per farci succhiare il
sangue con le loro agevolazioni, era il commercio che lo imponeva,
erano le società del nord che bisognava garantire, era il suo grande
talento, era tutto quello che adesso mi manca, che era andato via a
poco a poco, in quella mattina di pioggia, mentre correvo sotto
l'acqua e lui si sentiva distante dal suo corpo... ho gettato via le
carte, ogni giorno sempre meno, e conservo i suoi oggetti, le sue
cose, conservo un apricassa per orologi da polso, un orologio da
taschino che lui aveva regalato a mio nonno, una sua cravatta... ed
ogni notte mi agito nel sonno e ripercorro i chilometri insieme,
faccio fatica a ricacciare in gola le lacrime e alcune mattine mi
prende lo sconforto e vorrei che lui fosse ancora qui, a guidarmi, a
consigliarmi, con la sua determinazione, il suo entusiasmo nonostante
tutto, con la sua voglia di ricominciare, con il suo coraggio e la
sua forza, quella incredibile forza che lo ha tenuto in vita ed io
penso che non sia stato un caso, resistere per non complicarci le
cose, non mollare non per se stesso che per se stesso non aveva mai
preteso nulla. Ventuno settembre sole, otto ottobre sole, il mare
vicino e monte Pellegrino a regalargli un po' d'ombra, le facce di
tanti sconosciuti, le lacrime, i destini comuni nelle fosse comuni,
buongiorno, arrivederci, metteremo una foto, il suo nome, ci
rivedremo tra sedici mesi e non sarà ancora l'ultimo atto, e i fiori
recisi marciscono ai bordi delle strade delle quali non riusciamo a
liberarci, neanche un'indicazione, dettagli, e intanto i giorni
riprendono a scorrere che non ci si può fermare.
12 settembre 2012
Pelle e ossa
Pelle e ossa, trovare un punto dove affondare l'ago diventa ogni giorno più difficile, però mi sembra che dopo otto giorni sia più sensibile, sente il farmaco, ha moti di reazione che sembravano sopiti, lo sguardo stanco di chi è davvero stufo, lei si ostina e tiene duro, gli parla, lo incita e tenta come può di fargli ingurgitare medicine e cibi liquidi, sono nati lo stesso giorno esattamente a distanza di trent'anni, hanno un legame speciale, diverso, è stata la prima, e sarà l'ultima a mollare, pensavo non avrebbe superato la settimana, lo dico colpevolmente, l'acqua minerale che gorgoglia nell'umidificatore della bombola d'ossigeno scandisce il tempo, ogni tanto si tira via il sondino, mi tiene le mani mentre gli appongo la mascherina dell'aerosol e vorrebbe che finisse la tortura, lo so, ma gli dico dolcemente che è necessario, come se mi capisse, mi sentisse ancora, osservo le mani, quelle stesse mani che un giorno mentre guidava mi disse assomigliavano sempre più a quelle di mio nonno, ho aspettato tutti questi anni per vedere se anche a me le mie facessero lo stesso effetto... adesso pelle e ossa e silenzio, le piaghe si sono rimarginate ai piedi e al fianco, al fondo schiena è più difficile, forse non faremo in tempo, adesso ancora flebo e ferro e l'acido folico che è rimasto nel cappuccio... il cortisone, il fluidificante... l'integratore ultima speranza, il pensiero corre al suo caffè bollente, la tazzina alle labbra e il compiacimento... ricordi, soltanto ricordi, che non resterà altro, e avremmo potuto, avremmo dovuto... "mia madre è sempre lì che si nasconde dietro ai muri e non si trova mai, e i fiori nella vasca sono tutto quel che resta e quel che manca, tutto quel che hai".
7 settembre 2012
Quel giorno che il Ricceri si incazzò di brutto
Via Maggio, Firenze, a due passi dal ponte vecchio le grandi sale ricolme di mobili, oggetti, quadri, generalmente l'esposizione durava una quindicina di giorni, questo voleva dire sistemare, ordinare, pulire ogni singolo oggetto, appendere i quadri, sistemare le luci... il succhiello nelle mani del Ricceri volteggiava e sondava come un carotatore... l'omaccione dondolava pericolosamente sulla grande scala e poi una volta appeso il quadro ti chiedeva se era dritto... biascicava le parole nel suo dialetto rignanese, imprecando e borbottando in continuazione, burbero, austero e schivo, anni e anni a mandar fuori i mobili, i vasi, le sculture, i quadri... meticoloso, ignorante e presuntuoso, ma efficace e veloce... il lavoro in se non era poi tanto faticoso, a meno che non si dovessero salire grandi cassettoni o sculture pesanti per le scale, il momento decisivo era il giorno dell'asta, quando gli oggetti venivano ammassati, catalogati, preparati in ordine di uscita per il successivo passo, la messa all'incanto, allora si cominciava a sudare, i pezzi "pesi" andavano sollevati anche in quattro e bisognava far presto, essere precisi e non provocare danni, via via i pezzi venivano annunciati dal battitore d'asta, issati sul palco della grande sala che pareva un teatro, e lì si restava in attesa dell'aggiudicazione per poi velocemente avvicendarsi con gli altri... a tratti si "durava fatica", qualcuno spesso smoccolava... e il Ricceri urlava, imprecava, impartiva le direttive e ti dava dell'ignorante... era insopportabile, al limite dell'odio ma sapeva fare il suo lavoro e poi venne quel giorno che di colpo lo ammirai e mi fece quasi scendere le lacrime... eravamo usciti in quattro sul palco portando a braccia un pesantissimo cassettone in legno massiccio, il sudore ci colava dalle fronti e lo sforzo era massimo, il ragazzo accanto a me d'un tratto scivolo forse nel suo stesso sudore trascinandomi nella successiva caduta che inevitabilmente coinvolse anche chi stava davanti... il nostro pensiero era tutto rivolto all'oggetto prezioso, rovinammo tutti per terra ma cercando di salvaguardare il mobile... si alzarono dalle prime file fragorose risate che ci umiliarono, fu un lampo il Ricceri che nella sala attigua scrutava attraverso gli occhiali il grande catalogo e il prossimo oggetto da mandare in asta, si catapultò sul palco e cominciò ad urlare ed inveire contro le persone che avevano riso, gliene disse di tutti i colori, li apostrofò brutalmente, diede loro dei signorini insulsi e buoni a nulla quando noi si durava fatica e si sgobbava per un misero pezzo di pane, gridava ormai il Ricceri, paonazzo in viso credevo gli scoppiassero le vene del collo, il mingherlino battitore cercava di mediare e di ricondurlo alla calma, quasi ci intimò il Ricceri di mollare tutto e venir via ed io sinceramente gli fui grato, come fui grato di far parte di quella squadra di uomini che ogni giorno "duravano fatica" facendo orari impossibili, saltando i pasti e rendendo alla comunità un grande servizio... ricominciammo il lavoro orgogliosi e soddisfatti perchè il Ricceri ci aveva con quella sfuriata reso giustizia. Gli soffiai il posto al Ricceri, quando malato non potè presentarsi i primi giorni della preparazione di un asta e toccò a me sostituirlo, ma fu presente il giorno dell'incanto, smoccolava con gli altri portando fuori mobili e suppellettili, non inforcavo occhiali io, avevo ventinove anni e ci vedevo ancora bene, ero terrorizzato di sbagliare lui mi osservava cupo, ma mi lasciava fare senza dire nulla, senza neanche un appunto, il Ricceri che aveva mandato fuori gli oggetti per trent'anni e che in una sera diventò il nostro fiero paladino... sono passati ventiquattro anni da allora, ogni tanto mi soffermo a pensare quel periodo della mia vita, il facchinaggio, i lavori pesanti, i macelli e i traslochi, gli uomini con cui condividevo le fatiche e le schiacciate con la bologna, mi domando che fine abbia fatto il Ricceri, se sia ancora vivo e continui a smoccolare e dare dell'ignorante a tutti.
30 agosto 2012
E' pur sempre un viaggio
Sprazzi, tra breve l'odore della grafite, l'inchiostro fresco dei quaderni, le immagini sbiadite e la paura nascosta tra i banchi, lo specchio è sempre lì all'ingresso, rimanda la mia immagine, i capelli sempre più radi, lo spazio ingombro di suppellettili, inspiegabile, la pala al soffitto lenta e inesorabile stralcia il tempo, gli occhi si chiudono e le mani si cercano, poi arriva il tempo del distacco necessario e i pensieri si aggrovigliano, letti disfatti la camicia da stirare, la lama scivola e il ticchettio riprende, ci sono cose che non si possono spiegare e altrettante che non si possono capire, non c'è niente che un bambino non comprenda a parte la stupidità degli adulti. Spesso rinunce, anche sacrifici, necessarie, inevitabili, anche a cuor leggero, o controvoglia, ovvio, ovvio, il caffè amaro su questa indicibile crema e le patatine che non si decompongono mai, brividi alla schiena, il leone e l'ippopotama... ci sono piante erbacee presenti tutto l'anno che regalano grumoli commestibili, ma che spesso risultano indigesti, nel mio caso è un fastidio costante da bacheca occlusa, mi resta sullo stomaco... genera scompensi e insulse rappresaglie, la psiche umana questa sconosciuta...
il calore si attenua e i dolori aumentano, è tempo di correre ai ripari, o di correre e basta, magari ancora nuotare, perseverare, le casalinghe a Tokio sono molto diverse, sezionano cadaveri e non amano l'amore... si torna alla prostata, incontinenze urinarie, pannolini e pannoloni, non si cava un ragno dal buco nè tanto meno la blattella ostinata, di presidi in presidi inquiniamo la terra, c'è ancora odore di pane, c'è sempre un nuovo che avanza e un vecchio da non dimenticare, il conto piange nel suo rosso orgoglioso, sarà per l'anno a venire, speriamo.
17 agosto 2012
In questo posto davanti al mare
Il corpo abbandonato, il grande sorriso nei denti guasti e il ritmare delle braccia, con il grande salvagente e i piedi nella sabbia, e io perdo il mio tempo nelle cose futili... dibatto di amenità mentre intorno scivola il grasso dalle smagliature e il sudore fonde le pance, i bambini gridano, le mamme sbottano, i padri leggono, non cambia mai niente, osservo e non imparo, mi arrovento d'amore che non so spiegare, se bastasse questo sole a fondere e unire, non ci so fare, mai, mi perdo nelle mie visioni e tramuto il tempo, conio verbi nuovi e ritmi del passato, mi tuffo, adesso enormi palloni gonfiati disturbano l'orizzonte, i bambini mostrano il braccialetto e la mezzora conquistata, sono un povero idiota, questa terra sarà sempre la mia terra, senza scampo o facili illusioni, mastico amaro, mi arrovello, il colore della pelle è allarmante, mi tuffo nei suoi occhi che sanno di rimprovero, di delusione, ho perso le parole, quelle belle, delicate, forbite, al loro posto sboccamenti e trivialità insulse, lei mi guarda senza capire, non mi capisco neanch'io, trangugio il super che normale mi sembrava scontato, non sa di molto, resto legato ai ricordi del passato, dammi la mano, voglio tenerla, non voglio lasciarti andare, mai più, non c'è posto per noi tra tanta gente, guarda come si accapigliano, si spingono, poi mangiano senza gusto, per abitudine, per rinnovare il rito... non resta che abbozzare anche se il gelato in verità fa schifo, ma quando ci guardiamo negli occhi si ferma il tempo, non c'è più nessuno intorno e il mondo prende a girare per noi.
30 luglio 2012
Di un lungo viaggio
Del vino rosso messo in fresco e che possa essere un'eresia, fagioli di diverse qualità sfrigolano con la calabresa brasileira e si fondono ai ciliegini, il giudice a latere recita in basmati integrale cotto al vapore, orchestre e sinfonie, ancorchè silenzio e sguardi, incomprensioni, scarti caratteriali, il piacere si fonda e fonde, le mani unite e i capelli al vento condizionato, Juliette mi resta antipatica ed anche il suo interlocutore, un tempo credevo fosse all'altezza, la francese che è in lei ha preso il sopravvento... è un dolce dormire, breve e intenso, ma tonificante perchè condiviso, quel breve dolcetto di cocco e chissà cos'altro... guardo il tatuaggio e accarezzo la mente, flussi ancestrali ci avvolgono, che non dovrebbe passare mai il tempo, il giorno dovrebbe vederci arrancare, come in un sogno celato il desiderio del risveglio. Il desiderio che il viaggio sia lungo, magari interminabile e corroborante.
Soggiorni roventi
E' già un anno, non si direbbe, ma lui lo sa bene, mi tende la mano e mi chiede se ci vedremo di nuovo tra un anno... ed è come un anno fa, lo stesso sudore freddo che gela la schiena, il lungo tavolo in cemento, scrostato, lascia trasparire le vernici sovrapposte, le pareti trasudano gli anni e il tempo in realtà non passa mai, il frigorifero negato, il ventilatore negato, la libertà negata com'è giusto che sia, non si capisce semmai l'accanimento... sorrisi e pancetta, qualche capello bianco in più e i ricordi che prendono campo, e poi i racconti del quotidiano, i clan e le rappresaglie, il comandante gli ha chiesto di non attuare la "battitura"... di dare da mangiare a chi lo chiede... le condizioni sono proibitive ma è così che funziona e non ci si può ribellare... bambini ammucchiano sgabelli come grossi pezzi di costruzioni, mangiano patatine e bevono cocacola, si ingozzano di merendine e the freddo, il caffè nel thermos stavolta è amaro, è un caffè forte che sa di sacrifici, lo beviamo insieme come se fosse un rito, di colpo mi sento trascinato sulle rive del rio delle amazzoni col curandero che recita litanie e spande fumi nell'aria... e poi ci sono le convivenze con gli stranieri, le lingue, gli arabi e il "mese torrido" ossia il ramadan, bisogna conciliare, intercedere, ammansire, i musulmani aspettano rivelazioni... e il cibo è sempre poco e le porzioni differenti e poi non si sa come quel tipo è caduto dalle scale... i torti, gli abusi, il caldo, eppure tutti sorridono, prendono in braccio i bambini, mangiano insieme tutte le porcherie che possono permettersi... la cucina è una fuga, il giubbotto è stato portato via e anche le scarpe, e allora la camicia con le maniche lunghe, per provocare, per obiettare qualcosa... intanto l'ipovedente è stato trasferito qui a trecento chilometri dalla sua città, logiche inconcepibili partorite da uomini senza coscienza, si inveisce contro i residui di dignità, inspiegabilmente, come i manganelli selvaggi che vomitano incertezze, disagi personali. Mi prende un'incontrollabile desiderio di piangere, piangere e urlare e aspetto con ansia di sentire l'aria fresca, di vedere la luce, prigioniero della mia inettitudine e preda dell'angoscia. La strada è rovente, la mente si perde, l'auto dello straniero brucia, salva solo il trolley ma possiede ancora la libertà, un grido di dolore, e non è ancora niente, putrido metallo in croce e il gabiotto con l'aria condizionata, niente documenti che non possono accettarli, intanto lo stato lucra sul lavoro e nega i diritti, come se fossimo a Santiago nel 1973, si spera solo di non essere fucilati, la ragazzina lo guarda con affetto immutato e gli da l'arrivederci, e poi diventerà grande.
24 luglio 2012
Di quale amica?
E quella parola, spiega, ma dimmi, dei numeri e dell'attesa, Diego striscia i piedi e tira indietro con il corpo, vorrebbe andare da un'altra parte... spiego, spiego, non esco con un'amica, ci mancherebbe, che non lo dico, a chi lo dico? Di che parlo, con chi ne parlo? Non ho niente da dire, nemmeno a mia discolpa, tanto meno parziale, non ne parlo perchè non ho interlocutori, che in famiglia sì, quello sì. Le nubi, la pioggia, il refolo alle spalle, quasi un brivido a trenta gradi... lei ostenta quel che non ha, parrebbe, che non ho capito se uno yogurt per pranzo serva per non ingrassare anche se la confezione è da mezzo chilo... legge, forse, capisce, forse... intanto si ritorna ai corsi, inutili, devianti, faticosi e pallosi, che anche rivedere certuni non m'importerebbe un fico. Ma mi lascio cadere, rotolare, inebriare e conquistare, nel gelato di vaniglia di colore nocciola e le labbra, i capelli corvini e a tratti cipolla o aglio, come le zucchine della bisnonna di Diego, fermentano dissapori velenosi e miasmi incontrollabili e mefitici, la mia intolleranza esagera, ma l'amore si affanna sui crinali attraversando valichi e scalando montagne, è la sveglia del mattino che incurante del mio torpore insiste e grida, sempre alle quattro e trenta, aspetto domenica con ansia e fervore, i biscotti al cocco e il pane slievitato, la mia dolce amica in realtà è il mio amore sappiatene tutti anche se non ve ne ho mai parlato.
23 luglio 2012
Stereotipi...
E poi il respiro si placa, non va via il velo di tristezza dagli occhi, lo sguardo si perde mentre le mani cercano un appiglio, il vento agita la tenda, per un attimo il fuoco è domato, l'acqua viene nebulizzata e si propaga insieme all'olio insetticida che avrà, si spera, ragione di quelle piccole infide cocciniglie, i lineamenti induriti e gli occhi arrossati, i pensieri travolti e gli accordi in meno di due giorni a carte quarantotto... non serve sapere che così va la vita, perchè la vita non dovrebbe essere indirizzata in maniera diversa? E soprattutto, perchè non si può tentare di cambiarla? Stereotipi inqualificabili e inaccetabili, le sorti di chi ancora non riesce a camminare da solo inevitabilmente segnate da chi ha imparato a camminare soltanto adesso, e se ne va in giro claudicante e obnubilato, il finto potere derivante da ciò che avviene sotto la soglia e che inevitabilmente preclude la ragione, di ragioni pretese e di presunti torti subiti, di bendaggi agli occhi e alle mani, del non essere mai cresciuti e dell'essere cresciuti troppo in fretta, bisogni, fusioni, gli inevitabili errori, la vita ripropone le sue occasioni, i treni tornano, alcune mani si protendono, occorre essere preparati, bisogna allenarsi, non farsi cogliere di sorpresa, farsi trovare all'appuntamento, intanto si prevede pioggia, tira un venticello fresco e i ripiani straripano di libri in attesa.
12 luglio 2012
Di temperature più alte
La glassa a specchio rimanda le rughe e le occhiaie, i pianti di Diego e il mio stupore, leggi parole che non vorresti leggere ma sai capire, il frastuono del silenzio sarebbe mille volte peggio, articolare con dovizia di particolari diventa necessario, il caldo opprime e i fagioli borbottano tra le pareti madide, timide gocce si arroventano sull'asfalto, falso allarme, odore di mare e la pelle scottata, le manine mi carezzano il viso, panacea per tutti i mali, ci attendono giorni peggiori, dicono che vada così, mi arrabatto, voglio quel kit, appannaggio forse non di molti... un susseguirsi di parole si riversano sulla carta bianca senza trovare un senso... il dolore al braccio sinistro non vuol saperne di abbandonarmi, anzi, cerca di coinvolgere anche il destro... la voce spaurita, timidamente implora qualcosa, non c'è bisogno, non è davvero importante, solo non si dovrebbero leggere frasi e periodi che non ci appartengono, maledetto vizio innato... ritornano prepotenti le sensazioni, le immagini, il piacere del viaggio, ci siamo del resto, sarebbe anche opportuno e nella natura delle cose... mordo le labbra, le mani, per gioco, per scherzo, sbadatamente induco due volte al pianto, maledetta memoria, avrei bisogno di una pausa adesso, magari portare Diego al mare e guardarlo mentre tenta disperatamente di evitare la sabbia, quella che un tempo mangiava a piene mani, ma si sa, cambiano i gusti, cambiano le sensazioni, si cresce e non ci si volta più indietro.
9 luglio 2012
Preferirei...
Diego si agita nel sonno, è ancora presto, gli tengo la mano, pian piano comincia a svegliarsi, cerca di aprire gli occhi, mi guarda, comincio a fargli delle carezze sulla mano, sul braccio, mi sorride, a volte lo guardo convinto che sia Valerio, altre lo chiamo proprio Valerio... la giornata si illumina, si arrampica sul cuscino e raggiunge il comodino, cerca bu-bu... gli chiedo se vuole il latte, la risposta la leggo negli occhi e nelle braccia protese, mi sciolgo, non so resistere, lo riempio di baci e carezze, lui appoggia la testa sulla mia spalla e si lascia guidare... beve il suo latte con gusto e poi mi chiede un ...cocco che sarebbe un biscotto, lo mangia con curiosità e ne chiede un altro, come nelle ultime mattine il secondo lo lascerà a metà e dovrò mangiarlo io... è tenero, dolce, è un bambino che si fa volere bene da subito, è socievole e affettuoso con tutti, ogni tanto sbotta in qualche capriccio, ma gli si perdona facilmente, è un bambino. All'asilo ci sono già due bambini, più grandi di lui, oggi sembra non volerne sapere di essere lasciato qui, Matiù mi ha rimproverato, non devo lasciarlo di nascosto, devo salutarlo, fargli capire che tornerò a prenderlo dopo... ci provo, ottengo l'effetto che non avrei voluto, mi segue alla porta, comincia una sorta di lamento, qualche lacrima, va in braccio all'educatore che cerca di distrarlo con qualche giochino... chiudo la porta e mi sento un verme, di colpo rivedo Valerio, i suoi pianti, la febbre che d'incanto gli saliva e spariva non appena lo andavo a riprendere previa telefonata urgente dell'asilo... passo con l'auto vicino alla finestra, cerco di sbirciare dentro, vedo il tipo, Diego non è più tra le sue braccia, si sarà calmato? Preferirei restasse con me, ma capisco che socializzare con altri bambini sia un bene, divento vecchio e mi rincoglionisco, il fatto è che stravedo per lui.
6 luglio 2012
Il mio primo giorno con Diego
Ventuno mesi, appoggia la testa sulla mia spalla e mi abbraccia con le sue mani piccole, ha ancora sonno, lo coccolo un po', poi necessariamente devo lavarlo, vestirlo, dargli il latte e portarlo all'asilo... ma c'è ancora il tempo per giocare, per vederlo ridere, in tutta la sua simpatia... lo guardo senza farmi vedere, serio, seduto sulla sediolina, deve ancora svegliarsi del tutto... il tipo cerca di incoraggiarlo al gioco, timidamente comincia a toccare i giocattoli, i piccoli animali in plastica, poi le macchinine... mi domando cosa pensi... le persone a cui ha imparato a volere bene spariscono, i volti si avvicendano, è un susseguirsi di braccia, risa, mani, lui è molto socievole, allegro e credo, spero, felice, ma sono certo starà già domandandosi come funziona la vita, cosa aspettarsi da queste persone che lo accolgono sempre ridenti, affettuose, disponibili... e poi capita che non le riveda, o solo dopo molto tempo... certo, le figure essenziali tornano sempre, forse io mi faccio più domande di lui, forse, o forse il suo carattere mite, dolce, lo aiuta a sopportare le mancanze, non avrei voluto lasciarlo, sono rimasto ad osservarlo, per vedere se si girava a cercarmi, per rassicurarlo, prenderlo in braccio e portarlo via... siamo sempre portati a cercare di evitare ai nostri figli, ai nostri nipoti, quelle sofferenze, che reputiamo tali, e che conosciamo bene... si tende ad essere iper-protettivi, e di cosa ha bisogno realmente un bambino?
4 luglio 2012
Il primo uomo
La polvere al sudore della cravatta e il nodo che stringe, elegante vestito e incedere tra vicoli e sole, la patria che allora era la Francia anche se distante, una battaglia famosa, poco altro che non ricordo, dei flash e il ricordo che non posso avere dell'Africa di mio nonno e i racconti di mia madre, l'esistenzialista ateo e la sua simpatia, della morte prematura prima dell'indipendenza, i calci al pallone senza le scarpe per non rovinarle, la nonna materna e l'autorità, i berberi, i musulmani, gli arabi, la storia di una nazione, un popolo, uno scrittore, la voce di un bambino e gli occhi di sua madre, le insurrezioni, le bombe, le vittime, le due guerre, sopravvissuti, vincitori e vinti, le lamiere di un auto e l'editore, le pagine di un libro raccolte dalla figlia, la fotografia, la musica, la peste.
3 luglio 2012
Non tornare
Veloce più di un felino e il tasto cambia posizione, lei esce dalla stanza e io ne approfitto, poi ancora e il tasto è al minimo, poi lei si accorge e... il gelido soffio colpisce le mie ossa... medito di cambiare postazione... il conte è stato chiaro, puoi continuare ancora un mese forse poi cosa farai? Dovrai pensare al da farsi, all'operazione semmai... la maglia si attacca alla pelle non oso utilizzare il climatizzatore, mi sento solidale... fugace, veloce, passionale e appagante, inaspettato, riprendiamo le fila, ricuciamo lo strappo, torniamo a remare nello stesso verso... la signora m'ignora, non ha evidentemente bisogno, come anche quell'altro e centodieci appartamenti... ma lui fa scorrere il vino e rigar dritto le segretarie... pranzi di brioche e gelato e farmacie e medici e sudore, e sarebbe tempo di meditare, partire, non tornare, io e lei.
2 luglio 2012
Qualcosa brucia
Il cascamorto, chi era costui? Vagheggino svenevole, che corteggia in modo languido e affettato... corteggia?... Si appresta al pomeriggio e l'afa e grondo, pochi e bagnati capelli intrisi al sale e ricordo lieve di ben altro sale, le pale all'arsura nella stanchezza del corpo e della mente, partite e palloni e milioni, poi loro se ne andranno al mare milionario che gli spetta, il climatizzatore a tratti e onde e la lampadina che sta per saltare, la tosse, il catarro, la febbre e quel nodino all'angolo dell'occhio... macchie al cielo, all'orizzonte, letti sfatti come lande sconfinate e solitarie, solitudini, inquietudini, parole al trancio e dimezzate e dimenticate, il pettine, i nodi, percorsi impercorribili e strade alternative, le parallele ancora una volta all'infinito, incroci, basi, geometrie contorte, metà dell'anno e di quel che resta e che ci presta, di due ore al mare per dimenticare, e non è mai finita, e sempre all'erta, sempre pronti, e taglia e cuci, impasta e mescola, traduci e leggi, parole al vento e farro e segale, segnale, la nazionale, il rito sempre uguale, ridi che non c'è niente da ridere.
20 giugno 2012
Sempre Marilyn
Il rock si perde al finestrino, tra le luci che inchiodano e l'aria che rinfresca, la passione, le ultime immagini suadenti e il blues, le lacrime di Marilyn, titoli di coda, bisognerebbe fermare gli attimi, inglobare sensazioni in bolle perpetue... l'asfalto si ricopre di polvere, le luci della città, la birra gelata e il giro della piazza, la pizza di ulisse schiacciata con il ricordo della bufala e i ciliegini sbiaditi, il sapore perduto del cornetto di algidiana memoria, ma è solo un mio pensiero, una mia sensazione, i miei tempi che sono solo miei, gli anni trascorsi al camillino da cinquanta lire o le torridi estati al motorino e il croissant imbottito di gelato al caffè che scioglieva sulle ruote e Renato che correva, le monete barattate e i francobolli volati via... il piatto triste tra spruzzi di olio e balsamico, il pane di kamut e avena, sguardi coordinati, intese, il silenzio al buio del divano e i pensieri altalenanti, esagero, mi capita, le scuse non servono, basta capirsi, è solo un gioco, uno di quelli che scivola nell'incomprensione e genera litigi... pochi minuti esclusivi, svincoli, transenne, percorsi obbligati, la schiena, il braccio, quella pillola e il mio medico distratto, è sempre un altro giorno nel fluire del tempo, lo stillicidio prosegue com'è normale che sia, io e quelli come me non crediamo ai miracoli.
18 giugno 2012
La mia terra
Il cigolio delle pale al soffitto solletica la mia immaginazione osservo le zampette all'aria della blattella germanica, la stronza ha scelto di morire lontano dalla tana, non è un bene considerato che una volta morte si mangiano tra loro e col veleno ingerito si contagiano tutte... dettagli, in progress, at work... sento prepotente l'aria che tira da ovest... Fernando al caffè Martinho da Arcada, Lisboa, un sogno che forse resterà tale, on demand, hope is the last to die... Fumi, profumi, consumi, la liscia pelle e il rosso, odori, aromi, poemi, qualcosa recita e si muove silenzioso, tra le pieghe nascosto, colmo di sensualità e audacia, chimico, fisico, sotterraneo, invisibile, tanto forte, preciso, diretto, allo stomaco, al cuore... il tram arranca in salita, lei tiene la mia mano e mi guarda negli occhi, oceano, più giù Sevilla e una lingua conosciuta, ritorno col pensiero, Diego, Brasiu... non riesco a staccarmi e le mani tese, affondo il viso nel cuscino della sua pelle, m'inebrio agli odori e canto piano, questa terra è la mia terra, attesa, voluta, desiderata, contesa e contestata... una cosa sola, indivisibile, le ali al graffio del cigno nero caduto, era perfetto, della perfezione della morte che ci sottrae al dolore, alla sfida, al successo.
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