Da bambino detestavo la crema di ricotta, della cassata siciliana amavo soltanto il pan di spagna e il verde marzapane.
Alcuni dei miei pomeriggi di studente del liceo li dedicai ad alcune visite, in compagnia di Francesca, presso l'ospedale psichiatrico il quale credo da poco non si chiamasse più "manicomio". L'imponenza del luogo m'incuteva timore, a volte non visto mi aggiravo tra le sale deserte, sbirciavo fuori dalle finestre le immense solitudini, tornavo nella mia casa luminosa piangendo, ma non sapevo mai il perchè, soltanto mi facevo carico di qualcosa più grande di me mentre i miei compagni andavano a dare calci ad un pallone improvvisato nella polvere delle strade con gli zaini a far da porte.
E' un pomeriggio di quelli che voglio ricordare, quella volta a noi si era unito anche Michele, a lui il calcio non era mai piaciuto, sembrava una missione la nostra o l'espiare colpe che non ci appartenevano, la sala grande e luminosa riecheggiava di musiche e danze, la ragazza prese la mia mano e m'invitò al ballo, non lo avevo mai fatto prima, avevo diciannove anni credo e gli ultimi passati nella mia stanzetta ad ascoltare rock e vagheggiare di un amore mai conosciuto fino ad allora.
Lei aveva uno sguardo felice in tutta la sua sofferenza ed io mi lasciavo trasportare, fino a quando non arrivarono le pastarelle alla ricotta, si illuminò ancor di più e mi rese partecipe della sua generosità, le sue mani indugiavano ora sull'una ora sull'altra, cercava soltanto di scegliere la migliore per me, quando me la portò alla bocca era così contenta che non ebbi il coraggio di rifiutare, dopotutto io la ricotta la detestavo ancora, la crema mi si sparse per il viso, e un'altra e un'altra ancora, il ballo proseguì per qualche minuto, fino a quando le robuste braccia di un infermiere non la portarono via, la festa era finita, i suoi occhi di colpo persero la luce le sue braccia tese ed imploranti mi dipinsero tutta la solitudine, il buio prese forma e la musica cessò, restai al centro della grande stanza mentre le lacrime si mescolavano alla crema, non una parola nel ritorno a casa, la sera era già scesa e si sentivano soltanto i nostri passi, ognuno perso nei suoi pensieri e incapace di dargli vita.
Quella credo fu l'ultima volta che mi recai in quel posto o forse nel tempo l'ho rimosso, era stato per via della legge 180 del 1978 figlia di Basaglia che avevo potuto avere quell'opportunità, ma anche il mio impegno politico, l'incontro con Francesca.
Quest'episodio dimenticato è tornato alla luce negli anni un paio di volte, quando vidi un film su Basaglia, quando mi recai in quell'ospedale oggi tanto cambiato per tirare anch'io calci ad un pallone nel campo attiguo, oggi riaffiora leggendo Roveredo e ne parlo con Giulia che il libro mi ha consigliato. Le stesse lacrime rigano il mio volto, ma non si mischiano alla crema, quella crema alla fine ho imparato ad apprezzarla e continuo a dare calci ad un pallone. Avrei dovuto versare meno lacrime e darmi più da fare, non ne ho avuto la forza forse, o forse mi è mancato il coraggio.
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