22 luglio 2008

I miei lontani giorni del vino e le rose

Sole caldo, alto nel cielo, terre arse, brucianti di sterpaglie e canne piegate al greve torrente, i cespugli di rose, filari di viti a perdita d’occhio, mi sembra di vedere le camicie rosse, grondanti sudore, gli schioppi levati al cielo, si ode un grido lontano, la valle ora deserta rimanda echi di battaglia, gli uomini a spallate entrano nella buia cantina dove l’odore acre del mosto è dominante, le grandi botti recitano litanie di giorni andati, il vino prende a scorrere a fiumi, un po’ torbido, intenso, sapore di fichi e melograni, la mia mano tremante e le rose sciupate dal vento, mi distendo all’ombra, palpitante, lì dove i tini vengono svuotati, carni lacere e sangue, la schiena piegata, le ore che scorrono e la sera che giunge liberatoria, piangere in silenzio sotto la luna pensando alla prossima giornata di duro lavoro, la sua voce mi giunge in lontananza, mi volto ad osservare il suo viso, i contorni sfumati e una triste malinconia mi pervade, il timpano ricalca le immagini di vita quotidiana, le colonne si ergono come cavalieri indomiti, conto i metri che separano le une dalle altre, il vento mi trascina in un vortice di ricordi, rincorro trepidante e un dolore acuto, sotto le gialle foglie la testolina di bimbo e i riccioli biondi, quel graffio al naso e si apre al sorriso, quasi perde conoscenza, senza fiato e il mio terrore, il pianto liberatorio, le lacrime disperate della madre, poi di nuovo il sorriso, il gioco.
Sudore alla pelle, l’acqua salata si porta via la stanchezza, disteso sulle pietre rotonde rubo gli ultimi raggi di sole, il rizzaio è una saetta, un lampo nel cielo, ricade, si chiude colmo di prede, braci e luna, il giusto compenso per le schiene spezzate le mani doloranti.
Gli anni passati e tornare in quei luoghi, polvere, ruggine, i tini spaccati, lo Sparacio osserva imponente, silenzio nella valle, pomodori e qualche lattuga, la piscina, qualche grappolo d’uva, le crepe del tempo, un’etichetta consunta e lacera a futura memoria, chiudo gli occhi, accarezzo una botte, l’odore del legno un tempo impregnato nel vino, si sfalda il ricordo, cede il terreno ai miei piedi, groppo alla gola, non proverò mai più quelle sensazioni, non godrò più di quel nettare antico e genuino, tutto perduto, tutto andato, il calice resterà vuoto, le rose appassite, il melograno estirpato.

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