Salar de Uyuni - Bolivia 04.08.2005
Non te lo aspetteresti mai, nemmeno in una città come la mia, quel benedetto autobus che dovrebbe riportarci a Sucre forse non esiste, forse si cela nella nostra immaginazione, il cervello annebbiato dal freddo intenso, la ragazza cortese, neanche poi tanto, ci ripete ossessivamente che arriverà, sono talmente stanco che non ho la forza di chiedermi perchè la gente che aspetta con noi in quello che sembra l'ultimo posto al mondo, abbia così tante coperte, giacconi, cappelli e sciarpe. Finalmente come in un miraggio appare il nostro autobus, talmente sgangherato e cigolante che quasi viene voglia di andare a piedi.
Cerco di non pensare, mi rannicchio nel mio posto e cerco di dormire, gli spifferi gelati mi ridestano, mi guardo in giro e capisco, gli uomini e le donne sono avvolti nelle loro coperte, intabarrati fino all'ultimo capello, la notte scende silenziosa il bus arranca e il freddo a poco a poco diventa insostenibile, cerco di muovere i piedi e disperatamente di frenare gli spifferi usando le tendine lacere e consunte, tentativi inutili, in un flash rivedo il salar, l'immensa distesa di sale 12000 kmq che si perdono a vista d'occhio, il sole caldo che si riflette nel sale, l'isla del pescado e i suoi infiniti cactus, il frugale pasto consumato in compagnia di quattro allegri ragazzi argentini. Mi volto a guardare Peppe, lo sento maledire il mondo, e ho l'immagine netta della fine. Approfitto di una breve sosta per capire se il sangue circola ancora dentro un corpo che non sento più, non riesco nemmeno ad urinare tale è il freddo.
Il gelo attanaglia ormai la mia mente, mi sento perduto, uno sguardo verso i miei vicini, due vecchietti che erano con me alla stazione, dormono, avvolti nelle loro coperte, tante, sento che non ce la farò, la disperazione m'induce a pensieri maligni e la tentazione di rubargliele si presenta in me con orrore, capisco che i pensieri non sono più pensieri, capisco a cosa può portare la disperazione, riprendo a battere i piedi, cerco di muovere le braccia, tutto inutile, non voglio nemmeno immaginare quanti gradi ci siano all'esterno, so bene della forte escursione termica, so bene che il termometro sarà sotto lo zero, ma mi dico che non posso cedere, non posso davvero finire così.
Non c'è davvero granchè da fare, m'impongo di dormire per dimenticare la sofferenza, il tempo non passa mai, e dormire quando senti la lama sottile del gelo farsi strada tra i vestiti e colpirti a morte, diventa un'impresa ardua, impossibile.
Non avevo mai provato una sofferenza simile prima, è davvero qualcosa che non si può raccontare, nonostante il piumino, il pile e la maglietta "tecnica".
Non so come ci ritroviamo sbattuti per strada alle quattro del mattino, siamo a Potosì, la coincidenza, già pagata, per Sucre in realtà non esiste, in Bolivia può capitare anche questo, ma quando mi rifugio sotto un porticato e il freddo sembra affievolirsi, tutto scompare nel nulla, gli spettri della morte svaniscono, e la bellezza di Sucre, raggiunta dopo molteplici complicazioni, mi restituisce il desiderio del viaggio e la forza di dimenticare.
Nessun commento:
Posta un commento