19 novembre 2007

Santiago del Cile 11.01.2003

Santiago si offre a me in tutta la sua bellezza, cammino disperdendo lo sguardo, mi fermo ad osservare le case basse che via via degradano, case povere rispetto a quelle viste sulle colline (il nuovo rifugio dei ricchi, in mezzo a loro da qualche parte Pinochet continua a pontificare nonostante tutto….) vengo assalito dai profumi, dai colori, dai visi distesi delle persone che incontro, “questa terra è la mia terra”, mi sento così a mio agio, che quasi ne sono sconvolto, chissà, se credessi alla reincarnazione sarei propenso a pensare di essere stato in un’altra vita proprio un cileno.
Decidiamo di dirigerci verso il quartiere “Bellavista”, visiteremo la “Chascona” (la casa di Pablo Neruda) , il Museo delle belle arti e tutto ciò che potremo.
Il nostro cammino riprende, infaticabile, so dove siamo diretti, so che resterò meravigliato davanti alla casa di Pablo Neruda, saprò dopo quanto mi avranno colpito le sculture di Nunèz.
Il cielo è sereno, il freddo intenso della mattina ha lasciato posto ad un caldo asfissiante, maledetta escursione termica, siamo costretti ad uscire da casa imbacuccati e poi a svestirci frettolosamente mentre il sudore ci cola copioso dalla fronte. Vorrei che il tempo si fermasse, vorrei non dovere tornare in Italia, vorrei continuare a parlare con le persone, vorrei immaginare la mia vita diversa.
Il museo è magnifico, la struttura simile al nostro liberty, forse più vicino in realtà a quello francese, l’immensa copertura a vetri lascia che il sole colpisca le sculture rendendole più reali, ma sono figure fantastiche, il buon Nunèz utilizza ogni sorta di materiale, dal ferro al legno, alla paglia e al fango, ricordano i tanti muri che ho visto per le vie di Santiago, traspare dalle sue opere la passione, la sofferenza, l’immensa dimestichezza con le tecniche più disparate, stiamo a guardare a bocca aperta e ripenso ad Agustin che ce lo aveva preannunciato, ma lo stupore di fronte a tanta suggestione è inevitabile, scattiamo foto a ripetizione, non abbiamo fatto altro in questo viaggio, le nostre foto, con il grandangolo o lo zoom, tutto per cercare di fermare il tempo, d’immortalare e riuscire a trasmettere queste emozioni.
Adesso il caldo è davvero insopportabile, cerchiamo un posto dove poter mettere qualcosa sotto i denti, dove bere una birra fresca, ci aggiriamo furtivamente per il quartiere di Bellavista, la strada è tutta un susseguirsi di locali, dai pub alle trattorie, alle semplici bettole, cerchiamo una soluzione che stia nel mezzo.
Addento con voracità la mia tortilla, cavolo, l’insalata è zeppa di cipolle, non mangio mai le cipolle crude, cerco di scartarle, ma l’aroma intenso ha pervaso pomodori e quant’altro, il caffè non ci consola, abbiamo chiesto un “corto italiano” con la speranza che la tazza piccola che ci viene offerta sia foriera di un buon espresso, ma no, davvero non capisco, grandi produttori e pessimi baristi…
L’aria prende a raffreddarsi, il sole comincia il suo declino, guardo le Ande lì sullo sfondo di questa bellissima scenografia, le vette innevate, suppongo sia proprio perché il vento accarezza le cime che giunge a noi talmente gelido.
Il tassista ha l’aria rilassata, noi credo proprio di no, ci chiede dove portarci, sicuro del fatto mio pronuncio: Herrera mildossientooccianciados, certo che lui abbia capito e fiero di essermi imposto; si aveva capito, non so perché abbia poi girato in lungo e in largo senza trovare la destinazione, sino a quando non mi decido a dargli con fermezza le indicazioni del caso, altro carico di autostima… e Giuseppe gongolante.
E’ giunta sera, preparo il mio giaciglio di fortuna, quattro o cinque coperte mi faranno da materasso, un lenzuolo e un cuscino il resto. Non riesco a prender sonno, domani prenderemo l’aereo del ritorno, non riesco proprio a chiudere occhio, in un lampo le immagini del viaggio si frappongono tra me e la parete della stanza, rivedo mentalmente le diapositive, affranto per quelle che volevo fare e non ho fatto, felice per quelle casuali. La gatta continua a graffiare la porta, vorrebbe entrare, dopo tutto questa stanza sino al mio arrivo era la sua dimora personale, non me la sento di dividere il mio letto improvvisato, forse più tardi le aprirò, le palpebre lentamente cominciano a socchiudersi, cerco di abbandonarmi al sonno vinto dalla stanchezza, la resistenza che pongo è figlia del diniego, non voglio, non voglio, percepisco gli ultimi lamenti, la gatta, la mano scivola su un fianco, l’ultima notte cilena sta per andare, un breve sussulto, apro gli occhi, dalla finestra aperta la luna fa il suo ingresso, mi scappa un sorriso, buonanotte Santiago, arrivederci. Apro la porta la gatta felice viene a sistemarsi tra le mie coperte.

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